La
frizione sarà modificata sostituendo i dischi
originali con 17 dischi in acciaio bloccati da 24 molle, il tutto per
una pressione sul spingi disco pari a circa 617 kg. Nel corso degli
anni la trasmissione primaria passerà da catena quadrupla
una una triplex con pignone da 22 lato albero motore e 46 lato
frizione. La scatola del cambio rimane originale mentre gli
ingranaggi "Power Plus Indian" del 1916 verranno modificati. Il
materiale per le canne dei cilindri proviene solitamente da vecchie
tubazioni del gas in ghisa in disuso, mentre costruire per i cilindri
esterni Burt fondeva i vecchi pistoni; quest'ultimi venivano
riprogettati
quasi ogni anno e costruiti circa una mezza dozzina alla
volta. I primi carburatori utilizzati provenivano da una Indian Chief
del 1924. Nel 1927 dopo aver già utilizzato e modificato
cinque
carburatori Schebler
H
decide di passare
alla versione Schebler
Deluxe che equipaggiava le nuove
Indian.
Il
collettore che alimentava i due cilindri a forma di "T"
era costruito con tubo di acciaio da 1" e 3/8.
Burt fece vari esperimenti areodinamici per migliorare la
velocità della moto, fino a costruire una carenatura
completa
(streamlined shell).
Per ottenere la prima carenatura integrale Burt partì da
lastre
di alluminio che vennero sagomate a mano con l'uso del martello.
Passarono cinque anni dall'inizio al completamente
della carena... riusciva a lavorarci solo nel poco tempo non impiegato
a lavorare sui motori o sulla ciclistica della moto.
Nel 1920 la moto originale raggiungeva una velocità
massima pari a circa 80 km/h. Nel 1967 verrà cronometrata
in qualifica a Bonneville a 305,9 km/h (Burt comunque
assicurò
di aver
superato i 330km/h in prove non cronometrate). Una
spiaggia a poche miglia da Invercargill, nella quale vinse anche
qualche
gara, sarà sede dei suoi test di velocità.
"Per
i primi 22 anni dopo il 1926 i miei fine settimana e le notti
furono impegnate per preparare la moto per ogni tipo di prova: gare in
salita, velocità sul quarto di miglio, velocità
con sidecar su 1 miglio. Dal '26 al '29 ho ottenuto parecchi record di
velocità ed un record nelle gare di consumo (economy runs)
alla media di 49 km/lt! "
Dopo
aver raggiunto le
90 mph (144,8 km/h) con le valvole laterali, Burt decide di trasformare
la sua indian a valvole in testa. Da una fonderia Burt impara le
tecniche per costruire i calchi e fondere i metalli e in
meno di un anno la moto è pronta: nuove teste e nuova
distribuzione (alberi a cammes compresi). La prima corsa con il nuovo
motore a valvole in testa non fu gratificante: la moto non
riuscì a superare i record precedenti ottenuti con le
valvole laterali. Burt non si arrese e continuò a sviluppare
questa soluzione con i risultati che già conosciamo.
Le continue modifiche alla motocicletta ne incrementò la
potenza
a tal
punto da causare continue rotture delle bielle. Non riuscendo a trovare
bielle adatte, Burt decide di costruirsele in casa: acquista un asse di
un vecchio camion Ford e nel giro di
cinque mesi si ritrova con due nuove bielle che resisteranno per
vent'anni
permettendo alla moto di superare i 240 km/h !
Nel
1926 corse la Penrith Mile Dirt Track
in New South Wales con sidecar. La velocità massima misurata
fu di 74km/h. Nonostante questo inizio non molto promettente, Burt
detiene tuttora il record australiano di velocità su sidecar
ottenuto nel 1927 a Inverlock Beach, Victoria alla velocità
di 144,8 km/h. La
lunga carriera di recordman sarà affiancata da numerose
cadute, una delle prime fu appunto nel 1927 quando cadde alla
velocità di 145 km/h
in
una gara di dirty
track a Aspendale Speedway. L'abbigliamento
dell' epoca non era
prottettivo come quello odierno, potete ben immaginare quindi l'esito
di queste cadute! In questi anni Burt partecipa a qualsiasi gara si
disputasse con veicolo a due ruote.
Nel
1929, a causa della grande depressione, dopo quattro anni trascorsi in
Australia
Burt decide di tornare in Nuova
Zelanda dove trascorrerà i seguenti dieci anni a gareggiare
in
moto.
Nella
lettera a Jhon, Burt scrisse "Nel
1937
in una gara
su spiaggia stavo viaggiando a 180km/h quando il
pilota
Hugh Currie in sella alla sua BSA Special pensò bene di
svoltare mentre ero affiancato per sorpassarlo. Ho provato a frenare ma
non riuscii
ad evitarlo. Un gran colpo mi spezzò
il casco in due
pezzi. Volai per almeno 400
metri. Dal colpo
persi quasi tutti i denti, tanto che mio fratello
dovette raccoglierli dalla sabbia. Accorgermi di non avere
più i miei inestimabili denti! fu uno dei momenti
più tristi della mia vita".
Qualche settimana dopo
Hugh gli raccontò di aver trovato dei
segni di vernice del casco di Burt nel basamento del suo motore...
Burt
e la sua "Munro Special" Indian Scout a Invercargill nel 1938
Nel 1940 fissa il nuovo record di
velocità NZ (neozelandese) "Open Road" a Aylesbury alla
media di 194,4 km/h. Questo record resisterà valido per 12
anni. In
questo periodo Burt disputava qualsiasi tipo di gare: su
spiaggia, velocità su miglio, velocità su 1/4 di
miglio, salita, trials... nella sua lettera a Jhon scrisse "penso che
nel 1940 le gare più belle furono quelle in spiaggia". Corse
interrottamente fino al 1941 anno in cui non
potè usare la motocicletta per undici
mesi
a causa di un grave incidente nel quale sbattè violentemente
la testa
rimanendo incoscente per un ora e mezza causa emmoragia celebrale. In
questi anni Munro divorziò dalla moglie.
Nel
1948 decise di abbandonare il lavoro e di dedicarsi
completamente a
migliorare le prestazioni delle sue vecchie moto (Indian del 1920 e
Velocette del 1936). Si trasferisce in una baracca e partecipa al suo
primo Canterbury Speed Trials che si tiene ogni anno nel nord del
Christchurch (un viaggio di 1000miglia). Sarà la prima di
ventidue
partecipazioni. Per combattere il caldo neo zelandese, Burt vorrebbe
costruirsi una abitazione con altezza ridotta ma deve arrendersi alle
leggi edilizie locali; risolve il problema costruendo un garage basso
che servirà da casa e da officina.
La
"Munro special"
fotografata nel 1953 in occasione del record NZ a 123,831 mph (199,3
km/h)
Nel
1959 cade in
circuito alla velocità di circa 180km/h...
fortunatamente se la cavasolo con sette settimane di ospedale e qualche
osso spezzato... gli servirono solo cinque mesi per guarire dalle varie
ferite
riportate. Nello stesso anno costruisce due nuovi cilindri e pistoni
con i quali raggiunge la cilindrata di 968,64cc:
la più elevata mai raggiunta dalla sua Indian.
Burt
racconta di avere avuto terrificanti esplosioni di motori nella sua
carriera, uno di questi è raccontato nella lettera a Jhon " ero nella spiaggia
di Beach a Auckland nel 1969, precisamente
nel mese di aprile. Avevo trasportato la moto per 1800 km. Nelle prove
esplose
un pistone (ne avevo appena costruiti tredici nuovi nel '69!) con
relativa biella
e spinotto: andarono distrutti entrambi i nuovi cilindri ed il
basamento si incrinò, un disastro. Riportai a casa
la moto e in otto settimane e mezzo la misi in condizioni di correre
nuovamente costruendo anche otto nuovi pistoni e due nuove bielle fatte
in casa."
Una delle tante rotture
(nota il numero del
motore)
Il
sogno di
Burt era quello di provare la sua Indian nel lago salato di Bonneville
nello Utah, tempio dei record mondiali su terra. Mise da parte i soldi
per anni fino a quando nel riusci a coronare il suo sogno nel 1962
anche grazie al contributo economico di alcuni amici (motociclisti e
non). Partì per l'America con un budget limitato, con il
cuore
malato ma con la voglia di superare tutti gli ostacoli che si sarebbero
potuti frapporre fra lui e il record mondiale. Si pagò il
viaggio lavorando come cuoco nella nave che lo trasportò in
USA,
Burt aveva sessantatre anni.
Burt
nel 1962
Burt
partì dalla Nuova Zelanda senza
registrarsi per l'evento e rischiò di non poter correre.
In Nuova Zelanda infatti per correre una gara era sufficiente
presentarsi al via e firmare un modulo, a Bonneville invece era
necessario registrarsi entro un mese prima dell'evento. Grazie agli
amici che si era fatto in America, in particolar modo Rollie Free e
Marty Dickerson membri rispettati della "Land Speed Record
fraternity", i commissari accettarono non solo l'scrizione in
ritardo di Burt, ma chiusero anche un occhio sugli aspetti tecnici del
suo mezzo. La motocicletta ed il suo proprietario non
soddisfavano i
requisiti minimi richiesti dalle competizioni AMA: dispositivi di
emergenza, abbigliamento tecnico, paracadute di emergenza e
l'età stessa di Burt lasciavano qualche dubbio sulla
sicurezza
di questa impresa. Durante
il primo test, con il quale i commissari volevano valutare la reale
capacità del pilota e della sua Indian, Burt non
riuscì
a guidare al meglio, aveva quasi accettato l'idea di tornarsene
a casa quando fu felice di apprendere che gli era stato dato il
consenso per gareggiare. Nel suo primo anno a Bonneville Burt ottenne il
record
mondiale AMA di
velocità per motori inferiori a 916cc: 288 km/h con il
motore portato a 850 cc. Gareggiò con la
seconda carentura da lui
costruita.
La prima in alluminio, che rendeva la guida difficoltosa non avendo
spazio a sufficienza per muovere la gamba e
cambiare le marce, venne utilizzata come stampo per la costruizione
di due carene in fibra di vetro. Burt non lasciò molto
spazio
per se stesso nemmeno in queste nuove carenature, tant'è che
durante
il record del '62 si bruciò la gamba sullo scarico.
Il
certificato qui sotto riprodotto è il documento formale di
partecipazione all'evento e riporta anche la velocità record
di
178.971mph (288,0 km/h) ottenuto nel "Flying One Mile".
Burt
Munro a
Bonneville
nel 1962 - Record 288,0
km/h - 63 anni
L'anno successivo, il 1963, ruppe la
biella quando
stava
viaggiando ad una velocità stimata di 313,8 km/h.
Nei successivi cinque o sei anni Burt dovette risolvere parecchi
problemi di guidabilità mentre tentava di migliorare il
record di velocità. Già nel 1962
per risolvere un problema di ondeggiamento a 260 km/h, costrui in loco
un
mattone di piombo dal peso di circa 27 kg che venne fissato davanti
alla ruota posteriore. Durante il tentativo del record non appena
passato il rilevatore di
velocità del terzo miglio la moto iniziò a
sbandare in modo mostruoso... burt cercò di resistere ma
alla fine fu costretto a buttare la moto a terra.
Quando arrivarono, i soccoritori trovarono Burt che rideva come un
pazzo, alla loro domanda Burt rispose semplicemente che era felice di
essere ancora vivo!
Nel
1966 con una cilindrata di 920cc non riusci a superare i 270,5
km/h. Smontò e ricostruì completamente la sua
moto.
Nel 1967, con il motore portato a 950cc ottene il record di classe
(cilindrata inferiore a 1000cc) alla velocità di 295,5 km/h,
in qualificazione venne cronometrato a 305,9 km/h, la
velocità ufficiale più alta mai registrata con
una motocicletta Indian. In
un intervista pubblicata nel 1973 Burt disse : "Nel 1967 nel lago, stavo
andando come una
bomba quando la moto cominciò ad ondeggiare paurosamente;
per rallentarla mi alzai ed il vento mi portò via gli
occhiali: la pressione dell'aria mi spinse gli occhi dentro la testa..
non vedevo niente. Ero così lontano dalla linea nera di
riferimento che
dovetti buttare giù la moto per fermarla...".
Burt stava
viaggiando oltre i 330 km/h e aveva
68 anni!
Il
team di supporto a Bonneville consisteva in un gruppo di affezionati
del marchio Indian arrivati da tutte le parti degli stati uniti per
aiutare ed incoraggiare Burt. Nella stessa intervista di cui sopra Burt
racconta che il quartier generale del "team Indian" fu una station
wagon acquistata per 90$ a Los Angeles.
1967 - Burt (68 anni) posa consua Indian nell'anno in cui
raggiunse i 190mph a Bonneville!
Nel 1969 vinse il record di numero di corse per uno
streamliner, quattordici tentativi in quattro giorni e mezzo! La moto
aveva problemi di
dinamo e carburazione e alla fine grippò i pistoni durante
l'ultimo tentativo di qualificazione.
Al Latham, un appassionato motociclista, visitò Burt a
Invercargill nel 1970. Non lo aveva mai conosciuto ed era un po'
timoroso dell'accoglienza che gli avrebbe riservato. Al
trovò invece presso la baracca di Burt
disponibilità
e l'incredibile entusiasmo del settantunenne pilota. La foto
dell'Indian qui sotto ritrae una moto "laboratorio": monta infatti il motore
utilizzato a Bonneville ed un telaio diverso utilizzato per i test di
messa a punto. Il telaio e la carena originali utilizzati nei record di
Bonneville venivano infatti lasciati negli Stati Uniti; il solo motore
veniva trasportato dalla Nuova
Zelanda a Bonneville ad ogni partecipazione. Un
altra foto ritrae Burt mentre beve un the vicino al tornio con il quale
costruiva i pezzi per le sue moto.
Nel
1971 Burt, che ha superato i settant'anni, termina così
la sua lettera a Jhon:
"E'
un po' difficile raccontare una breve storia e le caratteristiche
della motocicletta che acquistai nel 1920 e
che iniziai a modificare dal 1926. Durante questi 44 anni la
velocità della moto è cresciuta mediamente di
circa 5 km/h per ogni anno, la stessa media di di qualche costruttore
del periodo! Guido la moto dal 1915 ed ho possedunto una Clyno v-twin
dal 1919 al 1920, anno in cui ho acquistato una una Indian Scout con
motore nr. 5OR627. ho costruito cinque teste, un numero innumerevole di
pistoni e bielle, carburatori, parti della dinamo, alberi a cammes,
modificato forcelle, utilizzato innumerevoli ruote, pneumatici e raggi.
L'ultimo cambio di ruota risale allo scorso luglio quando
sono passato da 19" a 18" e non sono più riuscito a
ritrovare le velocità ottenute con i pneumatici da 19 x
2.75. Su queste ho tolto i tappi con un coltello e trasformato un
pneumatico "tassellato" in uno slick!
Quest'anno
da quando sono
arrivato negli USA
cinque mesi fa, ho lavorato 560 ore nella Munro Special: due nuove
bielle in lega (due settimane), due nuovi cilindri e canne (una
settimana), otto nuovi pistoni e tante altri piccoli lavoretti. Sto
preparando due nuovi set di alberi a cams modificando e riprogettando
la distribuzione. Sono uscito a provare la moto in spiaggia 17 volte e
ho rotto (blow-ups) il motore per ben 11 volte! La rottura è
stata causata quasi sempre dai pistoni di vecchia progettazione. In
questi ultimi due o tre anni ho testato bielle in acciaio, nuovi
carburatori: per testare le bielle ho fatto girare il motore con
compressione 20:1 quindi ho costruito pistoni testandoli per sopportare
una compressione di 13:1. Non appena ho abbassato la compressione a 13,
la biella che ha resistito a tutti i pistoni precedenti si è
finalmente frantumata mentre acceleravo ben oltre i 5.500 rpm. Ho
smontato il motore: il nuovo pistone era in pezzi, lo spinotto rotto a
metà, il cilindro grippato.. anche la distribuzione non era
messa moto bene!" Lo sviluppo delle mie moto continua ogni giorno
così come è stato per tutti i giorni degli ultimi
22 anni. Mi piacerebbe costruire una DOCH set up. Ne ho ancora una che
ho costruito ed utilizzato in una gara nel 1951. Oggi ho somontato la
testa e sto iniziando la costruzione di due nuove bielle da un elica di
un DC6 B. Spero di trovare il materiale resistente a sufficienza. Mi
è stata spedita da Auckland visto che non sono riuscito a
procurarmi la lega 70-70 o 20-24 in Nuova Zelanda. Spero di migliorare
le prestazioni della moto ogni anno lavorando sulle cammes, sui
carburatori (ne ho appena finito uno ieri), conrods, pistoni e qualche
volta anche sulle valvole e reltive guide e cilindri.
E'
quasi impossibile per mi
darti una reale fotografia del tempo che ho
speso sulle mi motociclette... Gli ultimi 22 anni sono stati
intensissimi e per un arco di 10 anni ho lavorato mediamente 16 ore al
giorno tutti i giorni, tranne il giorno di natale dove mi sono sempre
preso il pomeriggio libero.
Ho
prenotato una cuccetta nella
SS P&O Oriana che parte per gli
Stati Uniti il 15 di giugno, ma non riuscirò ad andarci se
non passo la visita medica"
Nel 1975, a causa delle sue cattive condizioni fisiche, Burt perse la
licenza per correre. Nonostante questo riusciva ogni tanto a gareggiare
in qualche corsa clandestina con le sue amate moto. Secondo i medici fu
lo stile di vita e gli innumerevoli incidenti a danneggiare il suo
cuore.
Burt muore nel 1978 all'età di 79 anni. Aveva un figlio
maschio
John Munro e tre femmine: June Aitken, Margaret Popenhagen, and Gwen
Henderson.
Durante la sua vita Burt non era molto conosciuto al di fuori
dell'ambiente motociclistico, divenne un "eroe" per il popolo neo
zelandese solo dopo l'uscita del film "The World's Fastest Indian"
nel 2005. La memoria di Burt è stata accolta nel celeberrimo
Motorcycle Hall of Fame Museum. Il figlio John
è onorato di questo riconoscimento ed è
orgoglioso nel
sottolineare che fra tanti nomi famosi presenti al museo, suo padre
è l'unico neozelandese. Il nipote Peter Aitken è
sicuro che Burt sarebbe stato imbarazzato ed
allo stesso molto onorato da questo riconoscimento.
La sua incredibile Indian, che lo ha accompagnato per
57 anni, è ora proprietà di appassionato del sud
dell'isola. Le seguenti foto sono state scattate nel 1999:
Record
nazionali (Nuova Zelanda)
di Burt Munro:
Flying
half-mile,
Road, Unlimited Class
Munro
Special Indian
- 99.45mph - 160,0km/h, Canterbury, 27 January 1940
Flying
half-mile,
Road, Open Class
Munro
Special Indian
- 120.8mph - 194,4km/h, Canterbury, 27 January 1940
Flying
half-mile,
Road, 750cc Class
Munro
Special Indian
- 143.6mph - 231,1km/h, Canterbury, 13 April 1957
Flying
half-mile,
Beach, Open Class
Munro
Special Indian
- 131.38mph - 211,4km/h, Oreti Beach, 9 February 1957
Flying
half-mile,
Beach, 750cc Class
Velocette
600cc -
129.078mph - 207,7km/h, Oreti Beach, 16 December 1961
Flying
half-mile,
Beach, 750cc Class
Velocette
618cc -
132.35mph - 213,0km/h, Oreti Beach, 1 May 1971
Standing
Start,
Quarter-mile, Open Class
Velocette
600cc -
12.31 seconds, Invercargill, 25 March 1962
Record
mondiali American Motorcycle Association
Flying
One Mile.
Class S - A 883 cc
Munro
Special Indian
- 178.971mph - 288,8km/h, Bonneville, 20 August 1962
Flying
One Mile.
Class S - A 1000 cc
Munro
Special Indian
- 168.066mph - 270,5km/h, Bonneville, 22 August 1966
Flying
One Mile.
Class S - A 1000 cc
Munro
Special Indian
- 183.586mph - 295,4km/h,
Bonneville, 26 August 1967
"INDIAN:
LA GRANDE SFIDA" con Anthony Hopkins - 2005
Un sogno rincorso per tutta la vita. E' questa la storia di Burt Munro,
bizzarro personaggio neozelandese di Invercargill, appassionato di moto
di corse e di velocità che dopo aver passato buona parte
della
sua esistenza a mettere a punto la sua motocicletta, un Indian Twin
Scout del 1920 , parte alla volta delle saline di Bonneville, nello
Utah, dove effettuare l'ultima messa a punto per stabilire il record di
velocità. A tutt'oggi il record di categoria di 305.89 km/h
stabilito da questo cocciuto centauro nel 1967 è rimasto
imbattuto e per tutti i motociclisti Burt Munro è diventato
un
mito e la sua storica impresa una leggenda.
Grazie all'impegno di Roger Donaldson e alla magistrale interpretazione
del premio oscar Anthony Hopkins, la vicenda rivive nel
film
"Indian, la grande sfida". Il film racconta il viaggio di Burt Munro a
Bonneville, negli anni '60 e oltre a riproporre le atmosfere di quegli
anni fa rivivere la magia di un uomo che per tutta la vita ha inseguito
un sogno e che diceva: "Se è dura, lavora più
duramente.
Se è impossibile, lavora ancora più duramente.
Metticela
tutta, ma vai fino in fondo". A interpretare questo eccentrico ma
simpatico personaggio è stato chiamato Anthony Hopkins che
grazie alla sua interpretazione riesce a esprime tutta la forza, la
determinazione, la creatività, il fascino e la stravaganza
di un
personaggio come Burt Munro, visto attraverso gli occhi di un regista
che lo ha conosciuto, in occasione di un precedente documentario
girato, e che non ha mai rinunciato a raccontarne tutta la storia.
E proprio nelle parole di Roger Donaldson, regista del film, si
intuisce il fascino della storia: "Questo progetto è stato
una
mia passione da quando ho girato un documentario su Burt Munro nel
lontano 1972 "Offerings to the God of Speed". Munro era un neozelandese
straordinario... un personaggio unico. Io l'ho incontrato per la prima
volta in una notte d'inverno del 1971, a Invercargill. Burt era felice
che alcuni giovani cineasti fossero venuti da Auckland a conoscere un
vecchio come lui e a parlargli della possibilità di girare
un
documentario sulle sue imprese. Preso dall'entusiasmo, ha tirato fuori
una vecchia moto Indian Scout del 1920 dal capanno in cui viveva, ed
è saltato sul pedale di avviamento.Il motore si è
acceso,
con un rombo assordante. Nelle case vicine si sono accese le luci, e
quando Burt ha spento il motore si sentivano solo le urla dei vicini
che protestavano perché aveva deciso di provare la sua moto
alle
11 di sera... Ormai ero conquistato. Così ho cominciato a
girare
il mio documentario sulla vita di Burt Munro, riprendendolo nell'Isola
del Sud, e accompagnandolo alle saline di Bonneville, dove aveva
stabilito un record di velocità su strada a bordo della sua
vecchia moto.
Ma anche dopo che il documentario è stato trasmesso con
successo
dalla televisione neozelandese, io non riuscivo a smettere di pensare a
Burt. Sentivo che il mio film non rendeva davvero giustizia a questo
geniale ed eccentrico neozelandese e così, dopo la sua
morte,
avvenuta nel 1978, ho deciso che avrei fatto un film sulle sue imprese.
Ho riscritto più volte la sceneggiatura, finché
non mi
è sembrato di aver trovato la chiave giusta. Avevo quella
che mi
sembrava una buona base per un film emozionante e senza compromessi,
una storia che coglieva davvero lo spirito di Burt Munro.
Sono rimasto affascinato dalla storia di Burt per tanti, tanti anni. In
un certo senso, la mia ossessione per questo film non è
stata
così diversa dall'ossessione di Burt per la sua moto".
Burt Munro amava moltissimo le motociclette, ed era bravissimo a
guidarle e a farle correre ma aveva anche una filosofia di vita
interessante che ha colpito il regista e quelli che hanno lavorato al
film. E più che di motociclette, il film parla proprio di
questa
filosofia, di come invecchiare senza rinunciare ai propri sogni, alle
ambizioni. "Su questo, afferma J. Peter Robinson che ha curato la
colonna sonora, abbiamo cercato di costruire un film appassionante,
divertente e, almeno speriamo, commovente".
Curiosità:
I figli di Burt Munro hanno visitato il set e si sono commossi
all'interpretazione di Hopkins che ha anche usato degli utensili e dei
vestiti di Munro, ancora
conservati in un magazzino ad Invercargill, per dare
autenticità al personaggio interpretato.
Intervista al regista
Roger Donalson
Che cosa l’ha attratta nella storia di Burt Munro?
Il bello della Nuova Zelanda è che se sei determinato a fare
una
cosa, quella cosa può realizzarsi. Non sei ostacolato dalla
burocrazia o dai preconcetti di gente che credere di sapere cosa sia un
cineasta o che tipo di formazione tu debba avere, o se hai i mezzi
sufficienti. Questo è un paese che ha sempre sposato la
filosofia del “buttati e fallo”, e Burt Munro aveva
proprio
questa mentalità. Munro ha deciso di trasformare la sua
vecchia
Indian del 1920 nella moto più veloce del mondo, e si
è
lanciato in questa impresa come solo un neozelandese saprebbe fare. Noi
la pensiamo così: prendi quello che hai e sfruttalo al
meglio,
senza stare a lagnarti di quello che non hai. Sono andato a conoscere
Burt Munro perché io e il mio collaboratore, Mike Smith,
avevamo
la passione per le moto. Avevamo sentito parlare di questo vecchietto,
Burt Munro, che stava giù a Invercargill, e aveva una
motocicletta che si diceva avesse battuto un record di
velocità
su strada. Lo abbiamo contattato, e lui ci ha invitato a Invercargill.
Ha detto. “Venite qui a vedere la mia moto!”. Mi
ricordo
ancora quando siamo arrivati a Bainfield Road, dove abitava Burt. Erano
circa le undici di sera, e Burt era così contento di vederci
che
non ha resistito e ha voluto subito farci vedere la moto.
Così,
l’ha portata fuori in cortile e ha avviato il motore. Il
rumore
era assordante, e dopo qualche istante le luci hanno cominciato ad
accendersi nelle case vicine, e la gente gli urlava dalle finestre:
“Burt, vecchio bastardo, spengi quel motore!”
Questo era
Burt Munro. Fin dal quel primo momento ho deciso che avrei voluto fare
un film su
di lui. E siamo riusciti a convincere Burt a tornare in America
–
cosa che non aveva nessuna intenzione di fare, nel 1971 –
promettendogli che avremmo coperto noi tutte le spese. Così,
Mike, Burt ed io siamo partiti per l’America. Io e Mike
avevamo
noleggiato una Mustang, e Burt si era comprato una vecchia Chevrolet,
che correva come la Mustang. Per riprenderlo mentre guidava da Los
Angeles a Bonneville, lo superavamo a 150 all’ora, e quando
avevamo sistemato la cinepresa, Burt ci superava di nuovo. Lo abbiamo
seguito fino a Bonneville, e lì abbiamo girato il
documentario
che poi è stato trasmesso dalla televisione neozelandese,
nel
1973. Si intitolava Offerings to the God of Speed ("Offerte al Dio
della Velocità"), le parole scritte col gesso nel vecchio
capanno in cui Burt viveva.
Come
si è arrivati a fare il film?
Siamo partiti in chiave minore. Il documentario su Burt
l’abbiamo
girato senza soldi, e io ero agli inizi della mia carriera di regista.
Nel frattempo, però, ho imparato molto, e cominciavo a
rendermi
conto di non avere mai reso vera giustizia al soggetto. Forse per
questo il film su Burt è diventato una vera ossessione, per
me.
Ho cominciato a pensarci seriamente nel 1979, ancora prima di girare il
mio secondo film (Smash Palace, 1981). Diverse volte siamo andati
vicini a ottenere i finanziamenti necessari. Quando ho finito il mio
ultimo film negli Stati Uniti, ho pensato: è talmente tanto
tempo che parlo di questo film, che se non lo faccio adesso tanto vale
ammettere che non lo farò mai. Così, in questi
ultimi due
anni ho riscritto la sceneggiatura e con Gary Hannam, che mi ha
appoggiato fin dall’inizio, ci siamo messi a cercare i soldi.
La
vera svolta è stata l’incontro con un investitore
giapponese, Megumi Fukasawa, una donna che avevo conosciuto promuovendo
i miei film in Giappone. Un bel giorno, Megumi – che nel
frattempo era rimasta in contatto con mia moglie Marliese - mi ha
chiesto se avessi copioni adatti a un investimento, e io le ho risposto
che per l’appunto ne avevo proprio uno in tasca: questo.
Megumi
ha portato la sceneggiatura in Giappone, e mi ha fatto subito
sapere che ai suoi soci era piaciuta, che ne erano entusiasti e
l’avrebbero finanziata. Ora, con la loro adesione, avevo in
mano
qualcosa di concreto per poter mettere insieme il resto dei soldi. Ma
non è stata una cosa facile… Poi, ho convinto
Anthony
Hopkins a fare il film. Una volta fatto il cast, mi sono reso conto che
il film c’era – bisognava solo trovare i soldi. E
mi sono
anche reso conto che il lago salato di Bonneville era disponibile per
quell’utilizzo solo in un certo periodo dell’anno,
quindi a
meno che non avessi girato subito il film (2004), avrei dovuto
aspettare almeno un altro anno. E le possibilità che Anthony
fosse libero l’anno dopo erano abbastanza poche,
perché
riceve molte proposte. Ormai era chiaro: io e Gary dovevamo partire con
i nostri soldi. Tre settimane prima dell’inizio delle
riprese,
avevamo
già
una troupe al lavoro nello Utah, e le moto pronte. E i conti li
pagavamo io e Gary. Una situazione che – chiunque
può
dirvelo - non è certo il massimo per chi fa questo lavoro.
Ma in
un certo senso, forse il fatto che io e Gary fossimo così
determinati a fare questo film da metterci i soldi nostri ha dato anche
agli altri una sicurezza, una spinta in più a partecipare.
Perché tutti hanno visto la passione che ci mettevamo.
Chi
era Burt Munro...
Munro era un autentico personaggio, e credevo che, se fossimo riusciti
a cogliere il suo spirito, il suo atteggiamento nei confronti della
vita, avremmo fatto un gran film. Era un uomo molto felice, anche se
alcuni eventi della vita dovevano averlo segnato – come la
morte
del fratello, quando Burt aveva solo 14 anni. Non che lo abbia mai
ammesso, però. Lui era uno che, come diceva suo nipote,
voleva
morire in piedi… Amava moltissimo le motociclette, ed era
bravissimo a guidarle e a farle correre. Aveva anche una filosofia di
vita interessante. E più che di motociclette, il film parla
proprio di questa filosofia – di come invecchiare senza
rinunciare ai propri sogni, alle ambizioni. Su questo abbiamo cercato
di costruire un film appassionante, divertente e – almeno
speriamo – commovente.
Intervista
a Anthony Hopkins
Come
è stato coinvolto nel progetto?
Be’, ho lavorato con Roger vent’anni fa,
nell’83, nel
suo film The Bounty, a Tahiti e in Nuova Zelanda. Dopo tanti anni,
qualche tempo fa dovevo fare con lui un film su Hemingway, intitolato
Papa, ma il progetto non è andato in porto. Per Roger
è
stata una delusione, e anche per me – ma è
così che
vanno le cose nel cinema, a volte.E poi un giorno mi chiama –
strana coincidenza –
proprio
quando anch’io ho deciso di chiamarlo per chiedergli come
stesse
dopo la delusione di Hemingway. Così, lo chiamo e mi fa:
“Tony, hai avuto il mio messaggio?” Io gli dico di
no, e
lui insiste: “Ti ho appena lasciato un messaggio.”
“Cosa?” chiedo io. “Vuoi dire che non mi
hai chiamato
per rispondere al mio messaggio? Ho una sceneggiatura per
te.” E
io: “No, non li ho neanche ascoltati i messaggi,
oggi.” E
lui: “Oh, be’, allora sarà un segno del
destino
oppure un caso, ma ho qui una sceneggiatura che si intitola
“The
World’s Fastest Indian “ mi dice.
“E’ una
bellissima storia. Non so se ti interessa interpretare un pilota, uno
che corre in moto.”Così mi ha mandato il copione
quel pomeriggio stesso, e
l’ho trovato fantastico. Non so neanche quale sia esattamente
il
soggetto, ma è ben scritto, veramente ben scritto. Non
è
il solito filmone hollywoodiano, è una sceneggiatura
originale,
tutto giocato sulle sfumature. E per me è un grosso
cambiamento
perché finalmente interpreto un vincente. E’ tutta
la vita
che interpreto psicopatici o uomini rigidi e imbalsamati, mi sono
stufato. Non voglio più fare personaggi del genere. Sono un
uomo molto felice oggi, e mi riconosco nella filosofia
e nel carattere di Burt Munro.
Commenti
sul film The Bounty (1983) e su Donaldson come regista
Roger ed io abbiamo avuto i nostri scontri. Roger aveva un modo tutto
suo di trattare le persone. E’ australiano, e gli australiani
– come diciamo noi inglesi – sono gente che non va
tanto
per il sottile. Lui era diverso, e io ero giovane e arrogante
– con tutto quello che ne consegue. Io ero molto
insofferente con tutti, soprattutto con i registi. E quando mi
chiedevano di ripetere una scena troppe volte, ci litigavo. E Roger le
scene le faceva ripetere spesso – è un
perfezionista. Ora sono passati 20 anni e non sono solo tollerante, ma
anche
rispettoso di quello che fa – lui o qualsiasi altro regista.
C’è un motivo se lo fa. Vuole realizzare un bel
film e non
mi interessa se mi chiede di ripetere una scena 50 volte. Spero che non
saranno 50, perché perderemo un sacco di
tempo, ma
lo rispetto come regista e mi piace come persona, lo trovo un uomo
fantastico. I primi giorni ho avuto l’impressione che avesse
paura di vedermi dare in escandescenze da un momento
all’altro. Ma sono finiti quei tempi. Avevo un
caratteraccio, mi spazientivo facilmente. Ora penso:
“Be’,
è solo un film.” E non lo dico in senso cinico.
E’
che finalmente non c’è più niente per
cui valga la
pena di prendersela tanto. Ho imparato a incassare i colpi, a seguire
la corrente. E Roger è un regista fantastico, uno dei
migliori con cui
abbia
lavorato. Ho lavorato con Spielberg e Oliver Stone, e Roger
è al
loro livello. E’ un regista fantastico, sul serio. Basta
pensare
a film come Senza via di scampo e Tredici giorni…
Su
Burt Munro...
Be’, io non sono un gran patito della velocità, ma
da
quello che ho visto nel documentario di Roger, Burt Munro adorava la
velocità. Non so se per lui fosse una ossessione, ma per lui
era
eccitante, diceva che puoi vivere di più in 5 minuti su una
moto lanciata al massimo della velocità che in tutta
la
vita. Era questa la sfida. Credo che esista gente che flirta con la
morte. Cioè, è una grossa sfida, ci vuole
coraggio per
rischiare la vita… Donald Campbell era uguale: ha battuto il
record mondiale di velocità su acqua, ma è
rimasto
ucciso proprio battendo quel record. Eppure diceva che aveva paura ogni
volta che saliva a bordo del suo Bluebird.
Ma è così: superare la paura è il
coraggio
più grande di tutti, e credo che Burt fosse un tipo
così,
uno che aveva quel coraggio. Era questa la sua filosofia di vita
– viverla fino in fondo, pienamente. Perché,
diceva,
“Quando
sei morto, resti morto”
diceva, “non
ti tocca un altro
giro di
pista”.
Io non sono un amante della velocità, però, guido
con
prudenza. Una volta la velocità mi piaceva, quando ero
giovane,
ma ora amo la vita.
Come
ha costruito il suo personaggio?
Be’, mi sto calando nella parte, sto prendendo dimestichezza
con
l’accento neozelandese… E in questo Roger mi aiuta
molto.
“Senti”, mi ha detto, “non preoccuparti.
In Nuova
Zelanda probabilmente avranno da ridire sul tuo accento, ma nel resto
del mondo te la caverai alla grande. Non ha importanza,
comunque. Fallo tuo, sei tu Burt Munro.” Però mi
controlla. Mi ripete: “Stendi un po’ le vocali e
attento
alle erre…” Quando sento parlare Burt Munro, mi
sembra un irlandese, o uno della Cornovaglia, o del Devon….
Con quelle
belle erre rotonde, sembra proprio uno che viene dalla Cornovaglia.
Considerazioni
sulla sceneggiatura...
Roger ha scritto un’ottima sceneggiatura, io faccio solo
qualche
piccola aggiunta qua e là. Ma è un copione
talmente
perfetto che non c’è bisogno di modificarne la
struttura,
o di sostituire intere battute. Io mi limito a fare qualche cambiamento
quando ho difficoltà con l’accento
neozelandese. Quando non riesco a dire una battuta con
l’accento
giusto, allora chiedo a Roger se posso cambiare qualche parola
perché suoni meglio. Insomma, piccole cose così,
solo per semplificare.
Com
è stato lavorare con Roger Donaldson?
Se il regista è un tipo calmo e tranquillo, va tutto bene.
Se ti
capita quello che urla e strepita – e può anche
essere un
attore, io l’ho fatto in passato, lo ammetto –
è un
problema per tutti. Se c’è qualcosa che non va,
meglio
prendere da parte una persona e dirglielo in privato. Ci sono registi,
invece, che
alzano la voce e fanno scenate, e non puoi lavorare così. Ma
con una troupe come questa, probabilmente la migliore che mi sia
capitata da anni a questa parte, perché creare problemi?
Mentre
tu rileggi il copione e impari le battute, un tecnico sistema le luci,
il fonico controlla il suono, l’attrezzista la scena - ognuno
fa il suo lavoro, insomma,
perché alla fine è solo questo, un lavoro. Ci ho
messo
anni a imparare a rispettare quello che fanno gli altri. Ma forse, se
le cose sono andate così bene sul set, è stato
anche
merito di Burt, del suo spirito che ci ha contagiato. Era un tipo in
gamba,
amava le donne e aveva un gran senso dell’umorismo. Insomma,
mi
piace questo Burt. Aveva una personalità prorompente, e
probabilmente era anche un uomo molto generoso.
Repliche
motorizzate Ducati
:
Bibliografia :
- Bull, Maureen, New Zealand's Motorcycle Heritage, Masterton
Publishing House 1981
- Hatfield, Jerry, American Racing Motorcycles, Haynes Publishing
Group, 1982
- Motorcycle New Zealand, Issue 1, 1973
- New Zealand Sunday Times, April 27, 1975
- Sucher, Harry, The Iron Redskin, Haynes Publishing Group, 1977
- articoli vari prelevati dal Web (Corriere della sera, Film TV, ...)
- http://www.motorcyclemuseum.org/halloffame
- http://www.indianmotorbikes.com
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