Nel corso della sua
“carriera”
motociclistica Carlo ha organizzato un infinità di raduni
motociclistici. Alcuni di questi sono stati organizzati una sola volta,
altri sono diventati un appuntamento annuale e qualcuno, leggasi
“Pallequadre”, è entrato nella leggenda.
Ai vari raduni organizzati con le Harley, con le Triumph si aggiungono
i giri nel milanese con
i ciclomotori!
RADUNO
DELLA MAMMA
Organizzato la prima volta per pochi amici,
l'evento è poi stato
ripetuto nel maggio del 2000 con circa 250 possessori di Triumph (e
qualche Buell) attraverso le più belle strade della Toscana.
La partenza il venerdì presso la sede della concessionaria Numero Tre
di Milano e poi già per le Cinque Terre, Appennino. Il sabato si
riparte e si arriva a casa della signora Alessandra, la mamma di Carlo
per uno spuntino. Serata al ristorante e rientro libero la domenica.
Uno dei partecipanti, MiTTico, ricorda: "Come
Triumph organizzato una sola volta, a memoria nel maggio del 2000. La
notte del venerdì, se non ricordo male, passata a Porto Venere (almeno
per chi veniva dal nord). La notte del sabato a Porto Santo Stefano,
hotel incantevole con piscina vista Isola del Giglio. Cena del sabato
in agriturismo a Capalbio, immediatamente ribattezzata CAPARBIO per la
difficoltà nel raggiungere il luogo. Abo, dopo il solito spettacolo
pirotecnico, si presentò dalla Gasperini con un rospo in mano nel dopo
cena. Credo che sia ancora spaventata adesso... Delle due
magliette azzurre, una ce l'ho a casa, l'altra è stata donata al
"GARAGE" di Biella."
Per l'occasione Carlo aveva anche preparato delle simpatiche magliette:
Indossata da Sniper e fotografata da Bubi
da Motociclismo del 2000
PALLEQUADRE
Il
raduno più famoso e leggendario è sicuramente il “Pallequadre”
organizzato a cavallo degli anni ’90. Riporto qui sotto un bellissimo
articolo scritto da Paolo “cippy” Tradati e pubblicato nel sito harleyvillage.it.
QUESTA
E' LA STORIA DEL PALLE QUADRE, SCRITTA PER IL MILANO CHAPTER E PER UN
PO' DI SITI (HARLEYVILLAGE)
La prima volta che ho sentito parlare del famigerato
“Pallequadre” è
stato una sera di tanti anni fa, ero nel soggiorno di un tipo col quale
stavo concludendo l’acquisto della mia prima Harley, una 883… lui
chiaramente entusiasta di tutto quanto girava intorno al bicilindrico e
desideroso di rendermene partecipe mi magnificava le occasioni di
incontro, la dimensione sociale, il senso del gruppo che ruota insieme
ai pneumatici a banda bianca delle nostre creature, ad un certo punto
mi disse “…e poi c’è anche il palle quadre”…
Lo guardai con un sorrisino un po’ ebete come se capissi perfettamente
quello che stava dicendo, poi cambiai discorso per non svelare la mia
ignoranza in materia e conclusi l’acquisto…
In anni e anni di Harley ho incontrato più volte persone che parlavano
del Pallequadre (si tutto attaccato) come di una leggenda, di una
storia passata ammantata di mistero e di mito, persone che davano per
scontato che tutti sapessero, anche se chi lo aveva fatto o vissuto
direttamente era merce rara; così quando mi è stato chiesto di scrivere
qualcosa sull’evento la cui idea è all’origine dell’attuale Hog Inverno
non me lo sono fatto ripetere due volte.
L’ho fatto con entusiasmo per conoscere e per fare luce su una storia
che molti dicono di aver condiviso ma che pochi conoscono veramente..
per raccontare una realtà per forza di cose avvolta nelle nebbie del
tempo e in un’aura di leggenda, con poche foto disponibili perché
quelle fatte, con la macchina e il rullino non con i telefonini e con
le digitali, spesso sono ingiallite ingloriosamente dimenticate in
qualche cassetto, perché chi partecipava oggi non lo fa più,
ingrassato, ingrigito, imborghesito o semplicemente più saggio o con
altri interessi… quello che ho scoperto indagando, frugando nella
memoria dei reduci e solleticando l’orgoglio di chi lo ha fatto è stato
tremendamente affascinante...
Machismo, rito propiziatorio, prova di coraggio nei confronti delle
nostre ancestrali paure motociclistiche o esibizione di un gruppetto di
bauscia milanesi traviati dalla spaccona romanità talamiana, il
Pallequadre nasce 20 anni fa in una buia notte nebbiosa tra il caffè e
l’ammazzacaffè ad un tavolo del solito ristorante-covo, il Vecchio
Porco…
E’ il Capo (quello di allora e di sempre harleysticamente parlando,
Carlo Talamo) a tirarne fuori una delle sue e tutti gli altri, gli
amici, gli ammiratori, i discepoli, i leccaculo o aspiranti tali ad
annuire e a dirsi entusiasti… Oddìo… sotto sotto erano disperati,
pensavano, anzi speravano fosse la solita boutade, ma dalla sua bocca
erano poche le cose che uscivano senza poi concretizzarsi e il
Pallequadre nel momento stesso in cui fu ideato cominciò
minacciosamente a prendere forma…
Il desiderio, quello ufficiale almeno, era quello di riaffermare una
già chiara diversità, era la voglia di tirare fuori le moto dal box e
girare la chiave dell’avviamento nel momento stesso in cui la maggior
parte dei motociclisti stacca il cavetto della batteria e ripone la due
ruote per il letargo invernale; dimostrare al mondo motociclistico che
chi guida una Harley, soprattutto a quei tempi, è un personaggio
strano, unico, e condividere questa esperienza con la propria
motocicletta e con altri motociclisti, non necessariamente “amici” nel
senso più stretto del termine (anche se molti del nucleo originario
erano amici per la pelle) ma comunque uomini con una base comune
costituita dal bicilindrico più famoso del mondo.
L’idea era esageratamente elementare e forse proprio la sua nuda
semplicità fu la base di un successo travolgente che permise a una
guasconata di temerari e incoscienti di diventare uno dei miti popolari
del motociclismo italiano.
Partenza da Milano, via Niccolini il venerdì dopo cena, itinerario
notturno, destinazione sconosciuta svelata soltanto pochi istanti prima
del via, arrivo in un albergo nel pieno della notte dove ad attendere i
sopravvissuti c’era un fumante piatto di tortellini in brodo,
completamento in relax (si fa per dire) del giro nei due giorni
successivi… tutto qui, senza regole, senza scuse.. quando fuori fa
freddo, quando in giro non c’è nessuno…
Se già il mondo Harley a quei tempi era un universo esclusivo per
pochi, per iniziati, quello dei partecipanti ai primissimi Pallequadre
è addirittura un priveè, un corpo scelto di incoscienti orgogliosi di
staccarsi dalla normalità, da chi già aveva fatto del distinguersi e
del separarsi dalla massa un credo e un modo di essere...
E’ un’epoca nella quale goliardia, gioia di vivere e di mettersi alla
prova sono gli ingredienti principali, dove la dimensione
imprenditoriale del fenomeno HD è ancora lontana (anche se
puntualissima l’officina dopo ogni Pallequadre si riempie e il business
decolla) e dove prevalgono le pacche sulle spalle e le prese per il
culo…
5-7 dicembre 1986, 700 km al freddo, per pochi privilegiati, non più di
una dozzina: la prima avventura nasce così… una destinazione conosciuta
solo dal Capo, un giro per raggiungerla il più tortuoso possibile che
lo costringe a consultare continuamente le cartine anche se
l’itinerario lo aveva provato più volte perché irresistibile è il
fascino dell’improvvisazione e dell’imprevisto.. piove e fa freddo, è
la prima volta e la maggior parte non è preparata, né fisicamente né
psicologicamente... la gita notturna diventa subito impresa...
Si diceva dell’imprevisto, su tutti quello meteorologico naturalmente,
il protagonista assoluto: quando la destinazione prometteva bene (mare)
il cielo si divertiva a scaricare acqua e neve e il passaggio sul
traghetto col mare agitato per raggiungere l’isola d’Elba (meta
ripetuta perché tra le preferite) era la ciliegina di una torta davvero
difficile da digerire… quando le premesse erano tremende e la meta, la
montagna, incuteva timore e preoccupazioni un sole beffardo spesso
accompagnava i pellegrini durante il loro viaggio.
Ciascuno dei protagonisti del Pallequadre ha qualche aneddoto, qualche
personale ricordo, qualche flash che conserva più gelosamente di altri;
indimenticabile per Lamberto (che se li è fatti tutti tranne il primo
perché fu assunto alla Numero Uno il lunedì dopo!!) l’edizione del 94,
in cui, in rotta verso Montecatini Terme, perso il riferimento davanti,
Davide l’allora director del Milano Chapter, l’albergo apparve davanti
ai suoi fari solo alle sei e un quarto del mattino… “ci sdraiammo nel
letto, sfiniti, senza nemmeno toglierci l’antipioggia fradicio, alle
otto e mezza eravamo di nuovo in piedi ad accendere le moto…”
Fu un vero massacro, fisico e mentale, ma fu la decima edizione, quella
del canto del cigno a rivelarsi la più costosa in termini di danni
provocati.
Anche se sulle carte ufficiali è annunciata come 10° Pallequadre
Millemiglia, chi c’era la chiama semplicemente “Legendary”; fu
l’edizione che segnò la fine in bellezza, il degno sipario che cala su
una epopea leggendaria appunto, con 1000 miglia esatte percorse da
Milano verso l’Elba...
Carlo da un po’ di tempo temeva che la sua creatura potesse soccombere
sotto il peso del suo stesso successo, troppe moto da gestire, troppi
gruppi provenienti da ogni angolo del paese; la goliardata era
diventata un evento con oneri organizzativi che spesso superavano il
piacere di parteciparvi, decise di chiudere con una ultima edizione
annunciata in largo anticipo in grado di sintetizzarne ed esaltarne lo
spirito...
Per questo scelse la destinazione più classica, l’Elba appunto; peccato
che per arrivare alla cifra tonda di mille miglia da percorrere
quell’uomo dagli occhiali tondi e dal sorriso beffardo si inventò una
deviazione un po’ ampia, Trento, Canazei, Falzarego, Cortina, Pordoi; è
proprio sul Pordoi che Marzia e Lamberto misurano l’asfalto uno dopo
l’altra, Mauro Rivoltella, oggi responsabile di HOG Italia, è
lestissimo a scattare una foto che poi invierà nei giorni successivi a
tutti i concessionari italiani… pare che Carlo abbia gradito poco anche
se un ghigno gli sarà sicuramente scappato…
Nel desiderio di toccare tutte le località che ne hanno fatto la storia
la Legendary tocca Venezia e San Marino (Hotel Titano, seconda tappa) e
infine su per il passo del Muraglione prima di arrivare all’imbarco del
traghetto.
Era il primo dicembre 1995... immaginatevi le station wagon incolonnate
sui tornanti, il portascì sul tetto, le famigliole in gita pronte per
la prima discesa della stagione superate di slancio da un gruppo di
disgraziati vestiti di nero; immaginatevi automobilisti fermi sul
ciglio della strada intenti a maledire le catene da neve che non si
infilano giuste sul pneumatico distratti increduli dal rombo del
bicilindrico più bello del mondo... Il tempo inizialmente non sembrava
poi così tremendo ma presto le condizioni, il freddo soprattutto,
divennero da tregenda come se, consapevole che non li avrebbe più
rivisti, anche il cielo pretendesse l’estremo tributo da una carovana
di motociclisti ingrossata come non mai proveniente da tutta italia…
non si contarono le moto per terra, i ruzzoloni, le scivolate sui
lastroni di ghiaccio in agguato dietro ogni tornante, i danni… quando
un sole caldo tornò a splendere beffardo il lunedì mattina le strade
del nord Italia erano costellate di frammenti delle nostre preziose e
maltrattate creature..
I premi del Pallequadre erano sostanzialmente due oltre naturalmente al
più importante, all’orgoglio del “io c’ero” che valeva più di mille
attestati: i tortellini in brodo all’arrivo in albergo la prima notte e
la medaglietta commemorativa al termine del fine settimana…
Sul perchè il compito di riscaldare i guerrieri della notte sia stato
demandato ad un piatto di tortellini fumanti invece che, per esempio, a
una minestra, un passato di verdura o una spaghettata si sono sprecati
interpretazioni e teorie tra le più bizzarre… ancora una volta ci viene
in soccorso Lamberto che con disarmante semplicità spiega che la scelta
di Carlo non aveva altra ragione che i suoi terribili gusti culinari,
“mangiava semplice e male, taleggio e tortellini erano tra i suoi
piatti preferiti, la scelta fu naturale, quasi obbligata..”
E poi c’era la medaglietta, il pin, motociclistica versione della
Legion d’Onore, portata con orgoglio quasi ostentata sul gilet,
incollata sul serbatoio della moto o riposta gelosamente in un cassetto
da aprire nelle occasioni importanti, in quelle serate in cui gli amici
e la moto sono lontani e osservare i propri trofei ti riporta indietro
con la memoria e ti strappa un sorriso…
Ci fu una edizione, la quarta quella del 1989, in cui la medaglietta
venne consegnata a rate, divisa in due perché per averla completa era
necessaria una prova aggiuntiva, l’ennesima conferma, se mai ce ne
fosse bisogno, della follia dei pallequadristi… nel gelo di una strada
deserta passate le due di notte venne richiesto a tutti di fare gli
ultimi trecento metri prima dell’albergo a torso nudo… solo i
coraggiosi avrebbero avuto l’altra metà della medaglietta… quasi
nessuno si tirò indietro anche se il Capo aveva biecamente barato sulla
distanza da percorrere… non erano 300 i metri ma molti di più….
Lui però in prima fila non si è mai tirato indietro, anzi, spesso si
cercava di imbrigliare invano il suo entusiasmo che a volte gli si
ritorceva contro: presentatosi una volta con un pastrano nero e il
travestimento da dittatore tedesco si accorse troppo tardi che di
motociclistico quell’abbigliamento non aveva nulla, esposto agli
spifferi e agli spruzzi come non mai, non venne però meno al suo ruolo
di guida anche se poi ripose per sempre l’indumento nel suo garage a
far bella mostra di se tra le fuoriserie a due e quattro ruote…
Con l’ingresso negli anni novanta il Pallequadre assume i contorni di
un evento nazionale, si evolve e coinvolge tutta Italia di pari passo
con l’espansione della rete Numero Uno, mantenendo intatte le
caratteristiche sostanziali ma dovendo ovviamente fare i conti con un
volume di partecipanti in costante crescita… “arrivavano da tutta
Italia per essere pronti a partire il venerdì sera”, spesso cenavano al
Vecchio Porco dopo aver parcheggiato le moto lungo tutta la Niccolini,
tentando di annegare nell’ultimo bicchierino i residui di paura, di
logica e prudenza e di lasciarli a casa al caldo insieme alla famiglia,
al cane, alla giacca e alla cravatta… gruppo più numeroso, facce non
tutte conosciute ma davanti sempre gli stessi, una decina di temerari
più degli altri che tiravano come ossessi e che davano sfoggio di
grande abilità motociclistica.. erano i primi a partire, i primi a
sparire nel buio con il grosso del gruppo dietro a seguire…
A volte la doccia comincia prima ancora di essere montati in sella, già
perché i motori si evolvono, i modelli aumentano ma gli abitanti sopra
alla Numero Uno non cambiano mai e quando il rumore si fa eccessivo
cominciano a bersagliare con gavettoni improvvisati il gruppo di
pallequadristi… a volte non si limitano all’acqua e aumentano il
calibro dei proiettili, a qualcuno una sera toccò addirittura un vaso
di fiori, terra bagnata, concime e geranio compreso…
Alla partenza ci sono anche quelli che parcheggiano la moto, salutano
tutti e stringono le mani anche degli sconosciuti ma poi difficilmente
superano la cerchia dei Navigli, girano la moto non appena le case si
diradano e tornano a casa, felici di essersi fatti vedere o anche di
aver mostrato un po’ di cameratesca solidarietà a quelli più
incoscienti che la notte la affrontano a muso duro senza parabrezza…
Non appena si parte si comincia a sgomitare, tutti vogliono stare
vicino a Carlo, non davanti giammai, non a fianco troppo oneroso, ma
almeno immediatamente dietro, a litigarsi il ruolo di damigelle d’onore
incuranti degli altri e delle manovre azzardate per mantenere
l’agognato posto al sole, poi il gruppo si snoda e la strada si fa
buia, umida, spesso ghiacciata ed è inevitabile se per raggiungere il
mare si passa sopra quota 2000 metri…
Ovviamente non tutti mostrano lo stesso “manico”, c’è chi si
sopravvaluta, chi non sa dire di no, chi fa il passo più lungo della
gamba e diventa irrimediabilmente vittima dei lazzi degli altri… “una
volta uno rimase in bilico su una leggera scarpata in un cumulo di
neve, chiedeva aiuto per tornare sulla strada… tutto quello che ottenne
fu l’ultima e definitiva spinta al di la della sede stradale tra le
risate di tutti”
Ma anche gli imbranati nel loro piccolo si incazzano e a volte va in
scena la rivincita dei nerds: indimenticabile quella occasione in cui
il meno dotato del gruppo ingrana la quarta e stacca il gruppone
bloccato su una rampa bianca di neve.. poi non vedendo arrivare nessuno
si stufa di aspettare e torna giù indietro a cercarli… quando li trova
arrancanti in salita fa l’errore di toccare il freno per bloccarsi
davanti a loro “…cadde e cominciò a scivolarci incontro, ci tirò giù
tutti come birilli, uno strike come si vedono solo al bowling”…
Come detto poche le regole perché sono le cose semplici quelle che
funzionano meglio… la destinazione e l’albergo li sceglie Carlo (e una
volta che si dorme in un hotel in quello non si ritornerà più) e le
autostrade sono bandite o ridotte al minimo indispensabile per le fasi
di trasferimento anche se qualche furbetto lo si pesca sempre con le
mani nel sacco intento a tagliare il percorso e a imbrogliare più se
stesso che i suoi compagni di avventura…
Primi all’arrivo, dopo le “lepri”, quasi sempre quelli con l’Electra
perché pur pagando dazio in termini di agilità e maneggevolezza alla
fine quello che conta è la capacità di resistere ai rigori della notte
invernale, poi man mano tutti gli altri, i dyna, le softail
rigorosamente 1340 e rigorosamente a carburatore e gli sportster,
rigidi e cattivi come solo i vecchi sporty sapevano essere.
Tortura finita? Meritato riposo? Non sempre, soprattutto se il
riscaldamento dell’albergo (spesso strappato al periodo di chiusura
stagionale solo per l’occasione) è stato acceso solo qualche ora prima…
Mauro ricorda quell’occasione in cui l’acqua della doccia era appena
tiepida e dalle bocchette spirava un venticello più gelido di quello
appena digerito per strada… nessuno osò lamentarsi ma ogni tanto nel
profondo della notte tra i corridoi bui risuonavano le sue urla che
imploravano di chiudere l’aria condizionata… dormirono tutti pochissimo
impegnati a scaldarsi …e a sghignazzare…
Sono passati 12 anni dall’ultimo Pallequadre e il suo nipotino, l’Hog
Inverno, ha già celebrato con meritato successo il suo borghese e
affollato ingresso nel terzo lustro di vita.
Pur cambiati, diversi, maturati o semplicemente invecchiati dobbiamo
ammettere che il Pallequadre ci manca, manca a chi lo ha fatto e manca
a chi come me ne ha solo sentito parlare. Diversi sono stati i
tentativi di riportarlo in vita sotto diverse forme e il Milano
Chapter, il Chapter che fu di Carlo Talamo e di tanti protagonisti di
questa folle fiaba, per molto tempo ha ripercorso, nel “Barcollo ma non
Mollo” i medesimi riti e i medesimi gesti di allora tenendo in vita un
legame stretto ed evidente già nel nome: fu infatti Carlo Talamo a
battezzarlo così, proprio come il patriarca capofamiglia individua
l’erede e lo nomina davanti a tutto il parentado nel momento di
tracciare una via per gli anni che verranno.
E poi i modi, i tempi e i luoghi richiamano inevitabilmente la storia
che abbiamo appena raccontato, partendo alle sette di sera dalla via
Niccolini davanti alla vetrina della Numero Uno, infilandosi nella
notte verso una destinazione sconosciuta mentre la città incredula
scuote la testa e ci compatisce, riscaldandosi con gli stessi
tortellini in brodo e terminando in un luogo che il mattino dopo sembra
così diverso da come ci era apparso nelle tenebre umide solo poche ore
prima.
Non lo si fa tanto per scimmiottare il passato o per cercare di
replicare una magia che non c’è più (o che è perlomeno diversa, come
naturale) quanto per ricordare una tradizione che assume col passare
degli anni i contorni sempre più ingialliti della storia.
Ogni anno, a partire dai primi weekend del mese di ottobre c’è chi si
prende la briga di organizzare una nuova edizione, si eclissa e
scompare come investito da una sacra missione, comincia ad esplorare
ogni sentiero e ogni stradina che da Milano, lungo le deviazioni più
assurde, i passi più sconosciuti e i paesini più suggestivi possono
portare il Chapter e tutti quelli che si vogliono unire verso la meta
scelta per l’Hog Inverno.
Per settimane si ricerca un albergo pronto ad accogliere decine di
persone nel pieno della notte, un cuoco che accetti di aprire la sua
cucina quando fuori i lupi ululano, un gruppo di camerieri disposti ad
alzarsi dal letto e a servire la cena ad un’ora più adatta alla prima
colazione. Rubando preziosi momenti al suo lavoro esplora, custodendoli
poi gelosamente per non rovinare la sorpresa finale, i percorsi più
originali facendo lo slalom tra i gitanti della domenica in cerca di
funghi, castagne e trattorie fuori porta, immaginandosi le stesse curve
alla luce dei potenti fari delle nostre moto, gli stessi tornanti
deserti al chiaro di luna, gli stessi scorci ovattati nel silenzio di
una notte di metà inverno che si fa sempre più vicina.
Ma che senso ha ci si potrebbe chiedere?
Spesso ci si avvicina ad una esperienza del genere come fanno i bambini
con una medicina amara, sai che la devi prendere, sai quando la devi
prendere, ma senza grande entusiasmo… ci si dice che va fatto, che
visto che tutti lo fanno e poi passano mesi a raccontarlo non si può
mancare ma, sotto sotto, il timore di far scivolare l’amata moto per
una pura esibizione fa sorgere più di qualche dubbio…
…succede che però una sera mentre il cimento invernale si avvicina
inesorabile come la scadenza di una cambiale qualcuno a tavola con gli
amici tiri fuori un libro con un sacco di foto dei tempi che furono… un
annuario che racconta i primi anni con le pagine piene di foto
sgranate, immagini non appartenenti all’era digitale che basta fare un
copia e incolla ma di quando c’era ancora il rullino, con sopra
raffigurati uomini e ragazzi che già dieci, quindici anni fa prendevano
le loro belle moto e si infilavano nella notte buia e fredda per
barcollare e non mollare, battendo i denti, bagnandosi, a volte
scivolando malfermi sulla neve ma decisi a scrivere una pagina
personale su quel libro dalla copertina nera…
...succede che si guarda attentamente quelle foto riconoscendo delle
persone che girano ancora con te, si vede tanta gente che negli anni ha
diradato le sue presenze, molti che non riconosci che non vengono più e
allora ci si rende conto che uscire di notte in gruppo non è solo un
mettersi alla prova, un voler dimostrare qualcosa ma è anche un
mantenere una tradizione che va al di la di se stessi e delle singole
altre persone…
…succede che allora si capisce che quando tra dieci anni se non
barcollerai tu barcollerà qualche altro, quella notte anche seduto in
poltrona col vestaglione di flanella e la frittatona di cipolle davanti
alla televisione avrai comunque molto in comune con un motociclista
vestito di pelle, infreddolito, a cavallo di una moto uguale da cento
anni, che in quello stesso momento sta cercando sulle curve di un passo
sconosciuto di raggiungere una tazza di brodo caldo e un letto per
riposare qualche ora…
…succede che allora si torna a casa animati da uno spirito nuovo,
vogliosi di mettersi in moto, a preparare meticolosamente tutta
l’attrezzatura, contando con ansia le ore che separano dalla partenza
per essere alle sei e mezza di venerdì già in via Niccolini pronto ad
accendere il bicilindrico al momento giusto…
Non c’è voglia di imitare o di mandare in onda repliche annacquate
anche se per esempio l’edizione del 2005 del “Barcollo” è stata, a
detta di tutti, forse più coraggiosa e temeraria di tanti Pallequadre
originali, neve, ghiaccio, montagna e tornanti come e più di allora
piuttosto c’è il desiderio di rinnovarsi lungo la medesima rotta
tracciata tanti anni fa, mantenendo vivi quei valori e quella voglia di
divertirsi che, a differenza delle strade, delle buche nell’asfalto e
dei limiti di velocità, delle motociclette a carburatore o a iniezione,
delle quattro, cinque o sei marce, dei passeggeri e dei compagni di
avventura non cambieranno mai nemmeno in cento anni.
Il Pallequadre resta patrimonio di chi cavalca un’Harley, di chi ne ha
sentito parlare, di chi mettendosi in moto per raggiungere la meta
designata per la cena del sabato ogni anno sceglie di partire il
venerdì al buio invece che il sabato mattina alla luce del sole; è
soprattutto patrimonio di chi, almeno una volta, lo ha provato e
portato a termine e che, ripercorrendo oggi da solo quelle strade fatte
al buio tanti anni fa, si ferma in un bar di provincia per dissetarsi e
nel silenzio pigro e assolato della campagna aspetta fiducioso che
dalla curva là in fondo compaia uno sciame di esaltati infreddoliti con
al comando ancora lui, Carlo, quell’omino un po’ stempiato e dagli
occhiali rotondi con una strana espressione sul volto a metà tra il
ghigno satanico e l’innocente sorriso da bambino mai cresciuto...
LE
DIECI EDIZIONI DEL PALLEQUADRE
1986 |
Piovve
per tutto il
percorso che col senno di poi era relativamente semplice (Abetone –
Lucca – Cisa) ma considerando che era una prima assoluta
l’impreparazione e il senso dell’ignoto forte come non mai
contribuirono a renderlo mitico.
|
1987 |
La
riedizione dell’anno
precedente punta decisa verso est, via Brescia, Bolzano e Merano con un
cielo limpido e gelido sempre per pochissimi intimi.
|
1988 |
La
carovana questa
volta va a Sud su strade “classiche” del motociclismo, lungo il Passo
Penice poi Bobbio e la Val d’Aveto fino a Viareggio.
|
1989 |
Fedeli
al principio
dell’alternanza si punta nuovamente verso la montagna vera per poi
chiudere sul lago. Tempo variabile con condizioni meteo inizialmente
buone ma in peggioramento sui passi di montagna: l’itinerario prevedeva
la Valsassina, Margno e la Val Taleggio, passaggio per S.Pellegrino,
salita al Passo Crocedomini (chiuso per neve), poi di corsa a Riva del
Garda e arrivo a Salò. E’ la famosa edizione della medaglietta
spezzata...
(grazie
ad Andrea Concato)
|
1990 |
La
meta finale è la
Versilia ma il passaggio da Bobbio e lungo la Cisa è costellato da una
fitta nevicata prima dell’arrivo a Forte dei Marmi: 15 anni dopo, nel
2005, i nipotini del Milano Chapter ripercorreranno le stesse strade
nelle medesime condizioni meteo.
|
1991 |
La
partecipazione si fa
massiccia ma nella nebbia che avvolge il nord Italia non è facile
tenere d’occhio tutti i partecipanti: da via Niccolini si punta a
Salsomaggiore prima dell’arrivo finale a Santa Margherita.
|
1992 |
Ancora
nebbia per
l’edizione del 1992, quella delle 700miglia, che punta verso Firenze
(Certosa), poi si piega verso Follonica per traghettare sull’ Isola
d’Elba.
|
1993 |
Continuano
le serate di
freddo umido che talvolta diventa nebbia: la strada prevede una puntata
a sud in Emilia Romagna a Brisighella con deviazione poi verso il
Tirreno e il classico Forte dei Marmi da cui si parte per un paio di
tormentoni motociclistici quali il Bracco e la Scoffera.
|
1994 |
Quando
già nella mente
di Carlo c’è l’idea di una edizione finale a chiudere l’epopea del
Pallequadre, la nona edizione avvolta in una nebbia tra le più fitte
ripercorre il percorso dell’anno prima a ritroso, si passa dal Bracco
puntando su Montecatini Terme verso la meta finale piazzata stavolta a
Civitanova Marche.
|
1995 |
L’edizione
finale
richiede uno sforzo multiplo… si percorrono 1000 miglia in 4 giorni con
un tempo bello e un cielo sereno ma di un freddo veramente intenso…
prima tappa a TRENTO poi Pordoi, Falzarego, Cortina, S Marino, passo
del Muraglione, deviazione su Siena, Massa e Follonica per approdare
all’ISOLA D’ELBA. Ritorno via Bracco e Scoffera a salutare i percorsi
fatti più volte. |
Un ringraziamento particolare a Lamberto, Marzia e
Giovanni Valla della
Numerouno Milano e a Mauro Rivoltella che mi hanno permesso, abusando
della loro pazienza, di frugare in un remoto angolo della memoria
custodito gelosamente, a Max Brun pronto ad aprire il baule dei ricordi
e utilissimo nell’aiutarmi a fare ordine e a ricostruire il calendario
delle diverse edizioni, a Ettore Puglisi e a tutta la redazione di
Freeway per avermi messo a disposizione il loro preziosissimo archivio.
Paolo “cippy”
Tradati
Riporto
qui di seguito copie di articoli tratti dalla rivista Freeway che ho
scaricato da qualche parte nel web (non ricordo dove...) ed altre
scansioni tratte da Classic Bike:
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1994 - 9° Palle Quadre
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1995 - 10° Palle Quadre |
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(grazie a Fish)
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