Il 3 Dicembre 2001 moriva in uno stupidissimo incidente stradale Roberto Fasolini.
Alla maggior parte dei nostri lettori, il nome di Roberto non dirà
nulla, e forse neppure a parecchi che negli anni '90 erano incollati
alle vetrine dei negozi NUMERO UNO MILANO, NUMERO TRE MILANO e
GIALLOQUARANTA, o li frequentavano assiduamente come clienti
Harley-Davidson, Triumph o Bentley e Rolls-Royce.
Eppure Roberto era, dopo Carlo, la persona più importante delle diverse
società che facevano capo al gruppo NUMERO UNO ITALIA, perchè ne era il
responsabile finanziario ed amministrativo; non solo, era anche il
"custode" delle ricchezze di Carlo, quindi chi ne conosceva i suoi più
reconditi segreti.
Per quelli che volessero conoscere su di lui qualcosa di più, qui di
sotto trovate il ricordo di Marco Marchisio assieme ad un po' di storia
della Numero Uno, alcuni episodi dello straordinario periodo vissuto
come collaboratori di Carlo dal 1991 al 2001.
Dicono che una persona non muore definitivamente fino a che qualcuno lo ricorda.
E' questo un modo di dire che mi piace particolarmente, e che vorrei
utilizzare per ricordare, e quindi far rivivere, seppure virtualmente,
Roberto Fasolini, mio collega, quando lavorai per Carlo Talamo e per il
gruppo NUMERO UNO ITALIA, ed anche soprattutto caro amico.
Davanti alla sede della Numero Uno di Arese. Da sinistra Giovanni de Angelis,
Lamberto Cattaneo e Roberto Fasolini. Sotto Elena Meneghetti.
Roberto è morto il 3 Dicembre 2001, circa un anno prima che morisse
Carlo, a causa di un incidente stradale, mentre al mattino da casa si
stava recando al suo ufficio presso la Numero Tre di Arese.
Era una giornata nebbiosa ed umida, ed a bordo della sua Triumph Tiger,
Roberto viaggiava sulla superstrada che collega Monza a Bollate;
improvvisamente dovette rallentare perché più avanti si era
verificato un incidente. Era nella corsia di destra, niente di
particolare, si erano formate delle code, e, come succede spesso in
questi casi le due file parallele di veicoli avanzavano
alternativamente.
In questo
stop and go, si mise
in moto la sua fila, e tutti i veicoli della sua colonna accelerarono.
Poi la vettura che precedeva Roberto frenò di colpo, e, la sua moto,
forse troppo vicina, o forse per l'asfalto sdrucciolevole, la tamponò.
Roberto cadde e fu sbalzato sulla corsia sinistra, proprio mentre si
era rimessa in moto la fila dei veicoli di quella colonna. Un'auto che
sopraggiungeva lo investì e gli passò sopra, schiacciandogli il torace.
Anche se tutto si era svolto a bassa velocità, per Roberto non ci fu nulla da fare.
Questa ricostruzione della morte di Roberto Fasolini è basata su ciò
che mi hanno raccontato in seguito i suoi genitori, Anna e Dalmazio,
due deliziose persone con le quali sono tuttora in contatto. Le
fotografie che illustrano questo articolo mi sono state invece fornite
dalla sua fidanzata, Jelena, una valente informatica, che aveva
conosciuto Roberto ai tempi in cui alla NUMERO UNO ITALIA stavamo
cambiando i software dei nostri sistemi in vista della acquisizione
della Numero Uno da parte della Harley-Davidson International, e
della separazione dalla Numero Tre/ Triumph.
Io seppi dell'incidente occorso a Roberto al pomeriggio sul tardi; ero
da qualche mese in pensione e da Milano mi ero trasferito a Netro,
nella casa di montagna, deciso a disintossicarmi degli anni
passati chiuso in un ufficio. Quando risposi al telefono, riconobbi la
voce di Enrica Forzani che ancora lavorava per la Harley-Davidson
Italia ad Arese e dal suo tono compresi subito che era accaduto
qualcosa di grave: con la voce rotta di pianto mi comunicò la
tristissima notizia.
Non mi vergogno a confessare che scoppiai a piangere anch'io, e forse piansi più che per la morte di mio padre.
Ma questa è la storia della sua fine.
E invece bello ricordare qualcosa della nostra vita alla Numero Uno,
perché non è possibile, in un sito dedicato a Carlo Talamo, prescindere
dalla conoscenza di Roberto, e comprendere che cosa rappresentò Roberto
nel gruppo NUMERO UNO.
Raccontando alcuni episodi che mi legano a lui, racconterò contemporaneamente un po' di storia della Numero Uno.
Roberto arrivò alla Numero Uno, allora tutta concentrata a Milano, in
via Fioravanti, angolo Niccolini alla fine del 1990, qualche mese prima
di me.
Allora, all'inizio del 1991, esistevano solo il
negozio/ufficio/esposizione sull'angolo di via Niccolini, davanti al
negozio accessori (postazione di Maurizio Meroni e di Lamberto
Cattaneo, che però preferiva stazionare al bar), le due officinette
(una per le riparazioni ed una per l' allestimento e consegna moto
nuove, dove imperava Alberto "Brusco" Poggi), il negozio di
abbigliamento (feudo di Marzia) e, sopra al negozio accessori
l'Amministrazione (regno fumoso ed incontrastato del Rag. Giovanni De
Angelis).
Roberto era confinato - anzi, segregato - in Amministrazione, e
nell'anno che trascorsi in via Fioravanti, prima di andare nella nuova
sede di Arese, praticamente non lo vidi quasi mai. Quando raramente ci
incontravamo, lo vedevo sempre incollato a Giovanni. Sembrava l'ombra
di Giovanni: insieme andavano a mangiare qualcosa quando noi del
negozio (Elena Meneghetti, Livia Diegoli, Carl Armstrong ed io)
rientravamo alle 14, dopo la pausa pranzo, insieme si spostavano, ed
insieme lavoravano, ed alla sera alle sette, quando noi andavamo a
casa, la luce dell'Amministrazione era ancora accesa. Malignavamo che
facessero notte insieme.
Ad Arese ci trasferimmo alla fine dell'anno e allora Roberto era più a
portata di mano perchè gli uffici erano comunicanti, ma i miei contatti
(sempre piuttosto tempestosi) con l'Amministrazione erano limitati -
purtroppo - solo a Giovanni, e per lungo tempo, per me, Roberto
rappresentò quasi una presenza eterea, forse perchè anche per il
suo carattere timido ed introverso, per il modo discreto con cui agiva,
non si faceva notare.
Tutto cambiò quando improvvisamente, dopo le vacanze estive del
1995; al mio rientro, Carlo mi chiamò nel suo ufficio e mi comunicò,
incazzato come pochi, che Giovanni se ne era andato.
Io, che non amavo particolarmente Giovanni, avendo avuto con lui
diversi scontri, gli chiesi malignamente se per caso se ne era fuggito
con la cassa, perché mi sembrava piuttosto strano che il responsabile
amministrativo e finanziario sparisse così, da un giorno
all'altro, senza dare un preavviso, senza passare le consegne al suo
successore... ma tanto fu, e così, dalla sera alla mattina, Roberto,
l'uomo ombra di Giovanni ne ereditò onori (pochi) ed oneri
(tantissimi).
Una volta, Carlo mi raccontò che quando Giovanni gli presentò le
dimissioni, si trovò sorpreso e spiazzato. Si fidava di Giovanni e
pensava fosse parte per sempre della squadra; lo stimava per il suo
lavoro, e non si era mai interessato del funzionamento
dell'Amministrazione perché, per il suo carattere, tutte le incombenze
burocratiche, era meglio fossero seguite da chi ne aveva le capacità (e
Giovanni indubbiamente le aveva). Ora, senza il responsabile
amministrativo, che aveva i contatti con le banche, giusto nel periodo
in cui stavano arrivando i primi conteiner delle moto, chi si sarebbe
occupato di tutte le pratiche doganali, e di tutte le scadenze fiscali
ecc. ecc.? Carlo si era reso conto di non saper che fare: Giovanni era
un personaggio chiave, e così, sui due piedi, non sarebbe stato facile
sostituirlo.
Chiamò Roberto e gli chiese se poteva, e soprattutto se la sentiva di
sostituire Giovanni per il tempo in cui si sarebbe attivato per
cercare un nuovo amministratore. Roberto gli assicurò che per lui non
c'erano problemi: non era necessario cercare nessuno, conosceva
alla perfezione tutto quello che c'era da fare, e l'avrebbe fatto.
Carlo fu colpito dalla sicurezza di Roberto, e gli diede la possibilità
di provare; mi confessò che mai scelta fu più felice.
Roberto svolgeva alla perfezione il suo lavoro, ed in più, cosa non
secondaria per Carlo, non lo affliggeva con le geremiadi che doveva
quotidianamente subire da parte di Giovanni. Giovanni, sebbene fosse
bravo nel suo lavoro, aveva un carattere ansioso ed era un insicuro, e
questo mal si conciliava col carattere di Carlo, sempre pronto ad
affrontare ogni sfida e poco disposto ad ascoltare i mugugni di
Giovanni, che in ogni situazione, anche la più rosea, vedeva sempre il
lato negativo, e mai quello positivo.
Carlo, per la sua indole, desiderava circondarsi di ottimismo, e
Roberto non era un funereo e complessato pessimista alla
Giovanni. Badava ai conti, era preciso e puntuale nelle scadenze,
era benvoluto da tutti (mentre Giovanni, mi spiace dirlo, non aveva tra
i colleghi molti fan) e, soprattutto non affliggeva Carlo
sottoponendogli problemi che non amava affrontare, lasciandogli
tutto il tempo per "giocare con le motociclette" e far crescere la
Numero Uno.
Anche per me, che mi occupavo della parte commerciale, l'avvento di
Roberto fu una ventata di brezza primaverile, dopo il gelido inverno
siberiano che era stato aver a che fare con il brezneviano Giovanni.
Roberto non si intrometteva minimamente in quelli che erano i fatti
commerciali (cosa che Giovanni invece costantemente faceva): riusciva a
far marciare la Numero Uno come il miglior centrocampista in campo che
assiste il fantasista all'attacco (Carlo) e copre con la sua freddezza
e la sua calma la difesa (contabilità, pagamenti, scadenze burocratiche
ecc.), mantenendo sempre costante il ritmo del gioco.
E la Numero Uno era una società sempre all'attacco: non passava giorno
che Carlo non arrivasse con nuove idee e nuove attività da sviluppare,
e queste, è chiaro, richiedevano continuamente nuove risorse.
Per il tipo di lavoro che svolgevamo, la nostra era una attività
decisamente stagionale. Le moto si vendono infatti, per
definizione nella bella stagione, e non si vendono quando piove e
quando fa freddo. Quindi tutto si metteva in movimento (e si cominciava
ad incassare) quando in primavera spuntava il primo sole, e la gente
sentiva e respirava nell'aria "voglia di motocicletta".
Carlo lo sapeva e lo ricordava continuamente a tutti, specialmente a
Lamberto, che, se l'inverno continuava troppo a lungo e la primavera
tardava, assumeva un'aria da cane bastonato per la mancanza di clienti:
questi poi si sarebbero presentati tutti insieme appena fosse
arrivata la prima giornata di sole, mettendo sotto pressione tutti e
sollecitando la consegna immediata della moto che avevano guardato nei
mesi precedenti dalla vetrina senza mai decidersi a comprarla.
In compenso l'HARLEY-DAVIDSON ci riempiva i magazzini di moto da
Settembre in poi, inviandoci di preferenza i modelli meno richiesti e
più difficili da vendere. Arrivavano tante Ultra, tante Dina, pochi
Sporster e Softail, che poi erano i modelli più richiesti. Se l'autunno
era clemente si riusciva a vendere ancora qualcosa fino a metà
ottobre/primi di novembre; col calare delle prime nebbie e l'avvento
delle piogge e del freddo le vendite si bloccavano e le moto o
luccicavano nelle vetrine, o languivano nei magazzini, ma noi, da parte
nostra dovevamo pagarle egualmente.
E qui entrava in gioco Roberto, che doveva farsi anticipare dalle
banche i finanziamenti per saldare decine e decine di conteiner,
centinaia e centinaia di moto che sarebbero rimaste in cassa fino a
Marzo, Aprile... Certo, coi direttori di banca all'inizio di stagione
per aprire le linee di credito ci andava con Carlo, che faceva le
sceneggiate incantandoli con la sua parlantina , ma poi, era Roberto
che si sciroppava le telefonate di routine e doveva tenere a bada gli
uffici fidi delle banche.
Con la sua calma, la sua serietà, la sua puntualità e precisione
Roberto era quasi come camomilla per i suoi corrispondenti bancari:
Carlo mi raccontava che era fenomenale. Quando qualche direttore di
banca riusciva a rintracciare per telefono Carlo (che evidentemente non
gradiva moltissimo questo tipo di telefonate), dopo i convenevoli, li
passava subito a Roberto, certo che Roberto avrebbe tamponato e risolto
qualunque assalto.
La mia conoscenza con Roberto, che fino alla dipartita di Giovanni, era
superficiale e limitata a poche occasioni di interazione, divenne
stima ed amicizia dopo l'annus horribilis in cui ebbi
un litigio con Carlo e fui da lui più volte invitato ad andarmene.
La causa di questo pesante scazzo ebbe origine a metà della stagione di vendite del 1985 e si può riassumere così.
A Marzo/Aprile, comunicai a Carlo che, secondo le mie previsioni, con
il ritmo di consegne che stavamo attuando attraverso i
concessionari (la varie Numero Uno) ci sarebbero rimaste in magazzino
numerose motociclette.
Come ho detto più sopra, Carlo era sempre ottimista, e mi rispose che
non c'era da preoccuparsi; le avremmo vendute tutte, e per rilanciare,
si fece mandare dalle altre sedi Harley Europee tutte le moto che
quelle non sarebbero riuscite a vendere, come già faceva da qualche
anno, per avere più moto rispetto a quelle assegnateci come budget
annuale dall'Harley-Davidson International.
Ora non ricordo , forse il tempo atmosferico non fu quell'anno dei più
favorevoli, i colori delle moto non erano particolarmente
indovinati, ci fu crisi finanziaria generale e poca propensione a
spendere da parte della potenziale clientela...? fatto sta che al 31
Luglio, alla chiusura della stagione di vendita, dopo aver ammonito più
volte Carlo che avremmo avuto una giacenza di 500 moto, finimmo
con 505 moto invendute, su un totale di 1500/1600 moto arrivate.
Roba da far tremare le vene dei polsi, o meglio, da farsela sotto per
chiunque, Carlo compreso, con il suo inguaribile ottimismo, a volte più
che temerario. 500 motociclette, ad un costo medio di circa
15/20 milioni di lire, significava un passivo di circa un miliardo, e a
Settembre sarebbe cominciato l'afflusso delle moto del nuovo "model
year".
E i clienti avrebbero voluto le moto nuove, non quelle dell'annata precedente.
Ed il primo a non reggere la tensione fu probabilmente proprio
Giovanni, che lasciò il vascello, e, come seppi più tardi,
si ritirò in seminario, con la vocazione di dedicarsi alla cura delle
anime, abbandonando partita doppia e i conti della Numero Uno.
Così, io, per aver - inascoltata Cassandra rompiballe -
previsto il bagno delle vendite, ed aver (a detta di Carlo,
circondatolo di negatività e pessimismo - cioè per avergli portato
sfiga) scontai un anno in purgatorio, retrocesso ad "anima morta"
aziendale, mentre Carlo, forse per scaramanzia, si circondava di Nani e
Ballerine che lo lodavano in continuazione, senza mai contraddirlo (ma
senza fare alcuna previsione di vendita basata sui calcoli e non su
semplici "sensazioni"). Questi che chiamo un po' irrispettosamente
"Nani e Ballerine" scomparvero rapidamente in seguito, ed una di
queste in particolare, ignominiosamente (ma questa è un'altra storia
che racconterò più avanti).
Per non avermi tra i piedi, Carlo, dopo avermi tolto tutte le mie
mansioni, mi diede l'incarico di visitare i paralleli (gli odiati
concessionari pirata che trattavano Harley importate non
ufficialmente, o riparavano le nostre quando i clienti si
scocciavano di aver a che fare con i nostri concessionari) per cercare
di vendere loro gli accessori della Custom Chrome, di cui eravamo
diventati esclusivisti per l'Italia.
Ciò mi diede modo di incontrare dal vivo un mondo che non
conoscevo, e di cui sapevo solo quello che mi aveva raccontato Carlo,
che, coi "paralleli" ce l'aveva a morte.
Tante di queste officine erano delle vere spelonche gestite da
"bru-bru" (come definiamo noi a Milano quelli che si improvvisano
espertissimi di qualunque cosa in quel momento diventi di moda e
"tiri") che imbrogliavano letteralmente i loro clienti vendendo a caro
prezzo Harley di dubbia provenienza, importate senza documenti, (a
volte moto rubate, come potemmo anche accertare a seguito di una
indagine che la Guardia di Finanza fece con la collaborazione della
Numero Uno), vecchi catorci assemblati con telai e motori differenti,
facendo riparazioni o modifiche customizzanti temerarie, senza pezzi
originali, e quindi dando ossigeno ad un contromercato che squalificava
il marchio Harley-Davidson.
Altri invece erano fior di meccanici, appassionati di Harley, che
avrebbero volentieri lavorato con noi, se solo Carlo non avesse
"blindato" la nostra rete facendo vendere ed assistere le Harley
solo ed esclusivamente alle Numero Uno.
Dopo ogni visita facevo un rapporto particolareggiato, e nel frattempo
preparai una analisi di mercato per tentare di dimostrare a Carlo
che la rete della Numero Uno era troppo limitata sul territorio per
poter assorbire e vendere le motociclette che Carlo aveva intenzione di
importare (oltre a quelle che gli erano rimaste sul gobbo).
Il mio ragionamento (ma non inventavo nulla di nuovo) si basava
sull'osservazione che se un appassionato di Harley, supponiamo della
Sardegna, era disposto ad acquistare la sua moto alla Numero Uno
di Roma o di Savona (le due concessionarie a quel tempo più
prossime a lui) non era poi pensabile che prendesse il traghetto
andando avanti e indietro per ogni riparazione, richiamo o tagliando.
Egualmente era per un appassionato calabrese, che avrebbe dovuto
recarsi ogni volta a Palermo o a Napoli o a Bari, dove esistevano tre
Numero Uno ufficiali. E così via per altre situazioni locali
particolarmente critiche, senza contare che se un cliente litigava ad
esempio con il suo concessionario, doveva fare centinaia di Km per
andare da un'altra Numero Uno, oppure si rivolgeva ad un parallelo.
Gli suggerivo di aprire più concessionarie, in modo da aumentare la
penetrazione territoriale, diminuendo il rischio di saturazione di
quelle già operative; infatti, se un concessionario era strutturato per
far girare 100/120/150 moto all'anno, in breve non sarebbe stato più in
grado di assistere quelle che aveva già venduto, perché la sua officina
non poteva contemporaneamente fare le operazioni di prevendita,
l'assistenza dei tagliandi ed il montaggio degli accessori o le
trasformazioni delle moto che i clienti desideravano customizzare.
Le officine erano i veri colli di bottiglia delle Concessionarie, e, o
le esistenti le raddoppiavano/triplicavano, (cosa non semplice a
farsi perché un meccanico Harley non si improvvisava) oppure eravamo
destinati ad incartarci.
In realtà eravamo noi che con le nostre difficoltà alimentavamo il mercato dei paralleli che volevamo combattere.
Devo dire che mentre elaboravo queste osservazioni, le cominciai a
condividere con Roberto, alle prese coi problemi finanziari che
l'invenduto ci stava creando, e Roberto fu d'accordo ad appoggiare le
mie proposte presso Carlo.
A Roberto non interessava l'aspetto estetico delle concessionarie, se
queste avevano l'arredamento in legno di rovere o di ciliegio, le
tendine nere ed arancione a cupola sulle vetrine dei negozi, e se nelle
officine i meccanici avevano la tuta di ordinanza o la tuta blu, a lui
interessava soprattutto che le moto fossero vendute il più rapidamente
possibile e, soprattutto, che i concessionari le pagassero.
Alla fine, a furia di inviare a Carlo promemoria e calcoli sulle
possibilità di assorbimento della varie zone d'Italia, sul
turn-over di moto in entrata ed in uscita, riuscii a convincerlo che
questa era la strada da seguire per uscire dall'impasse in cui ci
eravamo cacciati.
E Carlo, con un'intuizione degna del suo genio di marketing, comprese
che non poteva continuare ad aprire solo costosissime concessionarie
gestite magari da appassionati, ma non sempre confidenti con i problemi
delle officine, ed elaborò l'idea di affiancare alla rete delle Numero
Uno, una rete di officine che denominò
AMERICANA, Officine & Accessori, gestite preferibilmente da veri meccanici.
Nella concezione originale, queste dovevamo essere solo destinate
all'assistenza delle moto in circolazione, riparazioni, tagliandi,
customizzazioni che le Numero Uno non erano più in grado di soddisfare,
vuoi per motivi di distanza del cliente dalla concessionaria, vuoi per
saturazione delle loro officine.
Naturalmente la prima richiesta che i gestori della Americana fecero,
una volta entrati nel nostro giro, fu quella di poter vendere anche
loro le Harley ai loro propri clienti, ed inizialmente Carlo, per non
scombinare la sua filosofia di controllo delle concessionarie, decise
che le Americana avrebbero fatto da "sub-concessionarie" acquistando le
moto dalle concessionarie Numero Uno da cui sarebbero dovute dipendere;
tuttavia questo sistema si rivelò presto non funzionare, ed in
breve anche alle Americana fu consentito di vendere direttamente
Harley, acquistate da noi con uno sconto leggermente inferiore rispetto
a quello riservato alle Numero Uno.
Fu così che anche qualche buon parallelo divenne AMERICANA, ed in breve
si raddoppiò la nostra presenza sul territorio, e particolarmente in
quelle zone dove esisteva una richiesta potenziale di Harley, ma non
una adeguata offerta. Alcune di queste AMERICANA ben presto si
dimostrarono più in gamba e più professionali di certe Numero Uno,
raggiungendo livelli di vendita di tutto rispetto.
Questa divagazione sulle trasformazioni della Numero Uno, ci ha un po' allontanato dal parlare di Roberto, ma ci ritorno subito.
Al giovane Roberto, aveva allora poco più di 30 anni, essendo nato nel
1964, dopo aver assunto il delicato compito di responsabile
amministrativo del gruppo, cominciarono a spuntare i primi capelli
bianchi; ed è più che comprensibile, perché, insieme ai problemi da
risolvere nel gravoso rapporto con Harley-Davidson e Triumph, Carlo,
oltre ai suoi personali capricci (acquisti di Tornado, Cigarette, auto
e moto varie) gli aveva affidato un'altra grossa gatta da pelare:
GIALLOQUARANTA, senza dimenticare la Numero Tre.
Il rapporto tra Triumph e la Numero Tre era già partito da qualche
anno, ma non era ancora completamente decollato, sebbene i numeri delle
moto vendute aumentassero costantemente di anno in anno. La squadretta
dei ragazzi capitanata da Mario Lupano, con Alessandra Gasperini, Elena
Meneghetti ed altri si stava muovendo bene, ma non era ancora
completamente autonoma dalla tutela della Numero Uno. La ricerca dei
concessionari procedeva, ma in maniera diversa da quella che era stata
la filosofia seguita per le Harley.
Ma il pezzo forte, inaspettato, era stato a creazione di
GIALLOQUARANTA, quando Carlo si era messo in testa di strappare
l'importazione delle Bentley e delle Rolls-Royce alla asfittica Achilli
Motors che praticamente era quasi inattiva per questi marchi sul
mercato Italiano.
Ed anche qui Roberto si trovò a dover gestire spese a non finire, per
lo show-room che Carlo voleva nel centro di Milano (e lo trovammo a
caro prezzo in Galleria de Cristoforis, praticamente in Corso Vittorio
Emanuele, a due passi da piazza San Babila) poi ci voleva l'officina, e
fu creata un'officina super attrezzata in via Bramante, parallela a via
Niccolini, e nell'officina ci doveva lavorare personale specializzato,
ed anche questo non si trovava a poco prezzo; infine Carlo volle due
sale per l'esposizione delle auto e fu realizzata una splendida sala il
via Niccolini per le auto nuove, ed una più modesta (per modo di dire)
per l'usato in via Messina/angoloFioravanti, davanti al Ristorante
Vecchio Porco e all'Hotel Hermitage.
Quando Carlo iniziava qualche attività, non badava a spese, e qui le
spese, partendo da zero, furono tantissime, e di importo considerevole.
In questo diluvio di iniziative per una crescita continua (in quel
periodo si realizzò il punto massimo di crescita ed espansione del
gruppo, che superò i 100 miliardi di lire di fatturato), non ho mai
visto Roberto perdere la calma.
Sempre presente, (doveva avere una salute di ferro, perché non me lo
ricordo mai a casa ammalato), Roberto non diede mai segni di stress,
insofferenza o impazienza, invece piuttosto avvertibili in Giovanni.
Era spesso l'ultimo a lasciare Arese, e quando lo raggiungevo nel suo
ufficio verso le 19.30 per avvisarlo che ne ne andavo a casa, e che non
c'era più nessuno, mi informava che si sarebbe trattenuto ancora un
po'. Mi chiedevo quando mai lo vedessero a casa.. anche se sapevo che
stava gestendo una difficile situazione familiare, perché si stava
separando. Anche su questi argomenti personali era assolutamente
riservato, e non ricordo che mai ne abbia fatto cenno con noi colleghi.
Ma una sera ci capitò di tirare tardi insieme. Carlo mi
aveva fatto l'onore di inserirmi nel consiglio di amministrazione del
gruppo, e questo comportava che periodicamente ci si riunisse, Carlo,
Roberto, Giovanni La Croce (il nostro commercialista) ed io, presso lo
studio La Croce di via Victor Pisani per esaminare la situazione,
vendite, ricavi, giacenze, liquidità, ecc.
A me e Roberto toccava di stendere una relazione, con tutti i numeri
del caso che poi avremmo discusso il giorno seguente: quella sera, i
conti non tornavano, e siccome si sa che gli amministratori li devono
far quadrare al centesimo, ripetemmo i calcoli più e più volte, ed ogni
volta usciva un risultato differente, ma mai quello corretto.
Finalmente scoprimmo l'inghippo (una moto conteggiata con un prezzo
sbagliato) ma ormai erano le tre del mattino. Lasciammo il capannone
esausti, e, a bordo delle nostre moto, lui sulla sua Tiger, io sulla
mia Trophy, percorremmo affiancati la varesina deserta da Arese a
Bollate fino al rondò del Decathlon. Qui ci salutammo, lui girando a
sinistra verso Monza, io diritto verso Milano.
Altri simpatici ricordi di cose fatte con Roberto, furono due inviti da parte di Carlo per mangiare insieme.
Una sera ci invitò a cena a casa sua, nel suo loft di via Teodorico 2.
Arrivammo direttamente da Arese verso le otto e dopo aver parcheggiato,
andammo per suonare al citofono.
Tra una fila di cognomi vari, in cui mancava Talamo, scoprimmo una targhetta "1340". Era lui.
La casa di Carlo era senza dubbio molto bella ed originale; ce la fece
visitare, ma oggi non saprei descriverla: di tutto ricordo una
scalinata che portava dal piano terra al piano rialzato, un quadro di
Burri, una gran vasca da idromassaggio vicino alla camera da letto ed
un gigantesco frigorifero (che sarebbe bastato per contenere i viveri
di un reggimento di marines) in una grande cucina, dove aveva
apparecchiato per tre.
- Ragazzi, vi ho invitato a cena, ma non so cucinare! - esordì Carlo
- però ho questo! - e tirò fuori dal gigantesco frigo (vuoto) due scatole di "Quattro salti in padella"
- spero che basti.
Così scaldò il risotto agli asparagi e cenammo con quello, scolandoci
due bottiglie di ottimo rosso ed ascoltando, tra una divagazione di
lavoro e l'altra i numerosi aneddoti che Carlo sfornava in
continuazione.
Un'altro invito fu d'estate in un ristorante all'aperto. Carlo ci aveva
dato appuntamento davanti al negozio di via Niccolini, perché lui
tornava da Firenze, dove era stato a visitare le locali Numero Uno e
Numero Tre. Quando arrivò stava litigando per telefono con Marzia, che
doveva essere in uno dei suoi periodici giorni "no".
- E' da Firenze che ci sto litigando! -
e caricatici in macchina ci condusse al ristorante, sempre al telefono
con Marzia. Ordinammo e chiese a Marzia di aspettare un momento, perché
doveva cambiare la batteria al telefono perché si era esaurita;
cambiatala, riprese a litigare fino a che ci portarono da mangiare. A
quel punto, implorò Marzia di smetterla, perché aveva fame e voleva
cenare, e chiuse la telefonata durata tutto il pomeriggio. Anche quella
sera tirammo tardi, parlando di Marzia, e, naturalmente, di lavoro.
Quando gli chiesi come mai non avesse ancora licenziato Marzia, mi
rispose che non poteva farlo, perché le voleva troppo bene.
Nei rapporti col personale, (i suoi "collaboratori", come amava
definirli) Carlo, era veramente imprevedibile. Se puntava qualcuno,
erano dolori, ma con altri aveva una soglia di sopportazione pressoché
illimitata.
E questa delicatezza, gli costò anche piuttosto cara. Ho detto prima dei Nani e delle Ballerine.
Ad una ragazza, di cui non farò il nome, dall'abile parlantina e
particolarmente intraprendente, Carlo, in un momento di entusiasmo,
affidò il controllo delle Americana.
Questa, non riuscimmo mai a sapere bene come avesse fatto, riuscì a
farsi dirottare i pagamenti delle moto di una di queste al proprio
indirizzo, anziché alla Numero Uno. Il gioco andò avanti per un po', ma
alla fine, fu scoperto. L'importo degli ammanchi aveva raggiunto
la non modesta cifra di un'ottantina di milioni. Quando si trattò di
decidere che fare con questa infedele collaboratrice, Roberto ed io
proponemmo il licenziamento in tronco e la denuncia per appropriazione
indebita. E ancora una volta Carlo ci stupì: -
se la licenzio e la denuncio le rovino la vita e questa non troverà mai più un lavoro...-
E così, non ostante la nostra contrarietà, (ci fu lo show-down per
mettere in chiaro le cose nell'ufficio di Carlo alla sera, lei, Roberto
ed io, quando tutti gli altri se ne erano andati) Carlo, dopo averle
chiarito che poteva rovinarla, le fece firmare una lettera di
dimissioni, e si fece rilasciare alcune cambiali per l'importo
sottratto, con l'impegno di onorarle in un periodo di alcuni mesi.
Toccò a me accompagnare alla porta questa ladra, e fu qualcosa che
ricordo con rabbia, perché la riunione con Carlo e Roberto e questa
ragazza fu particolarmente tesa.
Noi eravamo sconvolti, ma Carlo alla fine era quasi contento per aver
fatto una "buona azione" e di aver dato una possibilità di riscatto ad
una poveretta che "forse" aveva sbagliato....
Ne fu mal ripagato, perché questa ingrata, appena tornata a casa,
consigliata da qualche disgraziato avvocato, ci denunciò per averla
"costretta a dare le dimissioni, e per averle estorto la firma sulle
cambiali". Roba da penale. Infatti arrivarono i carabinieri
nell'ufficio di Roberto a sequestrare le cambiali e a incriminare Carlo
per minacce e violenza.
Non so come mai finì questa storia, perché quando si comincia a
frequentare i tribunali, le cose vanno per le lunghe, ed io, qualche
tempo dopo andai in pensione. Poi mancò Roberto, e anche Carlo. Spero
solo che quella ragazza svelta di lingua e di mano non l'abbia fatta
franca.
Un altro bel ricordo che ho di cose fatte con Roberto, fu il viaggio
che facemmo insieme in moto, anche con Maurizio Meroni, per recarci al
circuito di Magione vicino al lago Trasimeno in Umbria dove era stato
organizzato dalla Numero Tre il Triumph/Buell Day.
Partimmo con le nostre belle Triumph da Arese verso le due del pomeriggio e giungemmo verso sera alla meta.
Il giorno seguente Roberto si infilò con Enrica, Elena ed Alessandra
nell'ufficetto dove venivano gestiti gli ingressi in pista dei
partecipanti al raduno, e vi rimase fino alla sera; probabilmente non
si fece neppure il giretto finale in moto sulla pista, come spettava a
tutti noi dell'organizzazione alla chiusura dei lavori.
Ingresso del circuito di Magione - Buell & Triumph Day del 1999
I componenti dello staff della Numero Uno e della Numero Tre che lavorarono
per il Triumph/Buell Day del 1999
(Roberto è l'ultimo a sinistra nella terza fila in alto)
Un'altra volta, con Enrica andammo a Firenze per una causa di lavoro, e fu una piacevole giornata che trascorremmo insieme.
Sono questi i principali ricordi che mi sono venuti in mente quando ho
deciso di celebrare questo caro ragazzo, e spero di averlo fatto in
maniera degna.
Quache giorno dopo la sua scomparsa, ci fu il funerale, e lo ricordo,
in un limpido, gelido pomeriggio di Dicembre, con la partecipazione di
tantissima gente, segno che Roberto era una persona alla quale volevano
bene in tanti. Molti piangevano.
Non c'era Carlo, ed in seguito, quando lo incontrai, andando a trovarlo
presso la Numero Tre di Arese, mi confidò che non se l'era sentita di
partecipare, perché per lui era stato come perdere un fratello, come se
gli avessero strappato una parte di se stesso, e gli credetti, perché
Carlo e Roberto erano diventati quasi una coppia simbiotica.
- Pensa, Marco, - mi disse
-
quando avevo chiesto a Roberto che cosa avrebbe fatto dopo che avessi
venduto la Numero Tre agli inglesi, e non ci fosse più stato il suo
posto: continuerò a lavorare per te, no? mi aveva risposto.- e
gli si inumidirono gli occhi, ed aggiunse che quella tragica fatalità
gli aveva fatto aprire gli occhi sui rischi che correva anche
lui, e mi confessò che aveva cominciato a mettere ordine nei suoi
affari, in vista della chiusura delle sue attività imprenditoriali:
- Marco, presto ti raggiungo anch'io in pensione e comincerò una nuova vita!
Cosa che purtroppo non gli riuscì, perché pochi mesi dopo, un analogo destino lo avrebbe per sempre legato a Roberto.
Roberto con i genitori, Anna e Dalmazio
Roberto
Roberto con la fidanzata Jelena