|
In questa pagina ho
raccolto alcune testimonianze relative a Carlo. Alcune sono tratte da
riviste del settore uscite in edicola dopo la sua morte, altre - a mio
avviso più realistiche - le ho ottenute nel 2010 dopo aver "disturbato"
un po' di persone!
Ringrazio nuovamente tutti coloro che mi hanno scritto ed hanno
contribuito a creare questa pagina. Da segnalare anche la pagina
dedicata a Carlo su facebook: ...Amici di Carlo Talamo.
da ROBERTO CREPALDI (Socio fondatore della Numero Uno e Numero Tre dal 1984 al 1993)
Ho avuto l'opportunità di conoscere Carlo Talamo quando era solo uno
"sfigato" che lavorava come pubblicitario per Fabio Cei e quasi tutti
qui a Milano lo snobbavano perché era un "Romano" e per di più
squattrinato...
Credo di essere stato all'epoca (inizio anni '80) uno dei pochi ad
essergli amico (condividevamo la passione per l'enduro, le classiche
Inglesi, le Harley, oltre ai momenti di tempo libero e le gogliardate
connesse) per poi dargli tangibilmente fiducia costituendo insieme
nell' '84 la Numero Uno.
L'opportunità nacque dall'offerta di distribuire la Harley-Davidson in
Italia attraverso il rapporto coi Fratelli Castiglioni, allora miei
clienti Ferrari (di cui ero il Concessionario per la Lombardia) che
erano all'epoca i neo proprietari della Cagiva (ex Armacchi
Harley-Davidson) e parallelamente gli importatori H-D per l'Italia.
Questa opportunità unita alla disponibilità di alcuni nostri locali a
Milano, in Via Niccolini, ci dettero il via per aprire il primo negozio
e fondare insieme la Numero Uno. Perchè Carlo voleva da tempo occuparsi
di moto e non aspettava un'occasione migliore per lasciare il mondo
effimero della pubblicità per sporcarsi le mani con i motori e le due
ruote, la sua vera passione.
Poi le cose con la Numero Uno sono andate avanti, sono cresciute, molto
cresciute e, come molti potranno testimoniare, Carlo è cambiato: spesso
ciò accade a chi ha avuto sempre poco e raggiunge rapidamente (e
meritatamente aggiungo) il successo. Difficile da gestire questa
situazione anche per i caratteri più strutturati e Carlo aveva le sue
debolezze.
Per questo nel '93, dopo quasi dieci anni insieme di lavoro e di
soddisfazioni, dove prima la Numero Uno e poi la Numero Tre, erano
diventate due serie e grandi realtà, ci siamo separati. Io ci tenevo a
fare con lui una nostra moto (come poi ho dimostrato di poter fare col
marchio CR&S) e lui non voleva che nessuno condividesse il suo
potere. Come si dice: i classici due galli nel pollaio...
Carlo in quegli anni era diventato un'abile uomo di marketing,
sopratutto di se stesso (lo dico senza ironia ma, constatando la
realtà) ma, purtroppo non c'era più la sincera amicizia degli inizi tra
noi, quando si scherzava e ci si divertiva con poco andando in giro in
moto insieme per zingarate.
A quell'epoca Carlo amava forse più le quattro che le due ruote ed in
special modo le Rolls Royce (di cui poi divenne importatore e ne subì
pesantemente il cambio di proprietà), frequentava amici forse meno
sinceri, senz'altro meno casinisti, senz'altro ben educati e forse un
pò snob (dalle due alle quattro ruote cambia il mood di fondo...) e in
moto di conseguenza andava molto meno.
La sua nemesi è stata che la motocicletta, che gli aveva dato tutto e
forse era stata un pò tralascita negli ultimi anni per altre passioni,
se l'è preso con se per sempre.
Con tutto questo, provo sempre un sincero affetto nel suo ricordo,
perché, nonostante tutto, era comunque un uomo vero. Meglio senz'altro
Carlo di tanti suoi "amici" dell'ultima ora, nella maggior parte solo
degli adulatori e dei leccaculo, che lo hanno incensato quando era
facoltoso, famoso e potente, ma che prima, quando era uno sconosciuto,
non si sarebbero degnati di salutarlo.
Roberto Crepaldi (09-11-2010)
|
|
IN RICORDO DI CARLO TALAMO AD OTTO ANNI DALLA SCOMPARSA
di Ascanio Gardini
Purtroppo ricordo perfettamente quel giorno. Era il 29 ottobre del
2002. Era un martedì sera verso le 19,30 e la giornata volgeva ormai al
termine. Mi arriva una telefonata: è Fabrizio Farinelli (vecchio
amico di Carlo Talamo, nonché odierno proprietario della concessionaria
Triumph Numero Tre Roma) che con voce rotta dall'emozione mi dice:
“Ascanio è successo l'impensabile. E' morto Carlo.”. Rimango di
stucco e mi crolla il mondo addosso.
Ero molto legato a Carlo. Da lui avevo imparato una cosa fondamentale:
essere sempre se stessi. Con pregi e difetti. Ma essere se stessi. Lo
avevo conosciuto di persona dieci anni prima, quando avevo coronato il
sogno di comprare la mia prima Harley (una 883), anche se il suo volto
mi era ben noto da tempo. Da quando aveva iniziato a pubblicare
quegli strani racconti su motociclette fatte con il ferro e con
l'acciaio, che andavano alla velocità di una lumaca. Io, sempre
appassionato di corse, avevo ceduto a quel buffo tipo con gli
occhialetti e la faccia da matto. Ricordo il mio primo “pallequadre”
nel 1992. Ci conoscemmo lì e nacque subito una simpatia reciproca. Gli
stetti (o meglio: tentai....) appresso per due giorni mentre lui, con
il suo Softail Custom giallo e le inseparabili Superga senza calzini,
correvano come matti lungo le strade della Toscana. In quegli anni
iniziai a studiare il suo modo di comunicare, l'organizzazione delle
sue aziende, il modo di gestire i rapporti con i clienti-amici e,
soprattutto, le sue moto: Harley prima e Triumph. Creò delle special
che non mi facevano dormire la notte per quanto erano belle alcuni
esempi: “la Suora”, un Fat Boy fatto tutto nero ed
abbassato. “Fate l'amore non fate la guerra”, uno Springer
Softail verniciato verde militare con la ruota anteriore da 16 pollici
del Fat Boy. La Triumph alluminio. Eppoi la Sua creatura: la
Postatomica, o meglio conosciuta come “eve of distruction”, apparsa
sulle pagine di Motociclismo del 1996.
In mezzo alle numerose moto che inventava, tanti episodi di vita: molti
raccontati e molti vissuti in prima persona con lui. Oltre ai numerosi
pellegrinaggi in Via Niccolini dove mi fermavo per ore
davanti alle vetrine per vedere ed a parlare con il suo “entourage”.
Ricordo che una volta entrò come un pazzo dentro la Numero Uno di Roma,
con una Triumph Tiger fatta mimetica militare, dopo essersi fatto il
viaggio da Milano a duecento all'ora. Poi, un'altra volta, tutto
tronfio di gloria mi descrisse come fece ad avere la prima Buell in
Italia. Era alla presentazione in Inghilterra e faceva un freddo cane.
Carlo, come spesso gli accadeva, era vestito in maniera leggera. Mentre
scherzava con il concessionario locale, dicendogli che voleva
assolutamente la Buell, questo gli disse: “Se hai il coraggio di
portarla via così come sei vestito è tua.....”. Detto e fatto. Carlo
monta in moto e sparisce, vestito solo di un jeans, maglietta a maniche
corte e giubottino leggero. Durante il racconto ci tenne a
sottolinearmi come, mentre era sul treno che attraversava il tunnel
della Manica, tremasse come una foglia.....
Mi raccontarono pure che in pieno agosto si fece da Porto Ercole a Roma
sotto il diluvio universale in jeans, maglietta e Superga con il suo
Gilera Dna. Eppoi i vari Triumph Day, quando alla cena del
sabato sera mi presentavo con la maglietta della Ducati facendolo
infuriare, per poi finire tutto in una fragorosa risata. E tanti altri
episodi che a raccontarli, non basterebbe un libro. Ma non erano
tutte rose e fiori. Interagire serenamente con lui sul lavoro era
difficile ed a volte anche nella vita. C'erano delle volte in cui lo
incontravo che non ci si poteva assolutamente parlare. Allora lo
evitavo ed andavo per la mia strada. L'ultima volta che ci siamo
incontrati, al Triumph Day nel Luglio del 2002: qualche battuta e via.
Circa un mese dopo, invece, lo avrei sentito per l'ultima volta.
Un sabato sera, mentre andavo a cena al mare a casa di amici, mi si
rompe la frizione della mia Bonneville. Immediatamente chiamo Fabrizio
Farinelli, il quale mi dice: “....ti passo una persona che ti può
aiutare meglio di me....”. Era Carlo. Mi risponde al telefono con tono
scherzoso: “....ma mi rompi le balle pure il sabato sera....?” Ed io
timoroso: “Carlo scusa, ma mi si è rotta la Bonneville....”.
Immediatamente il tono della voce cambiò. Si fece serio e mi spiegò
come fare per tornare a casa, aggiungendo: “Se hai problemi non esitare
a chiamare ancora....”.
Poi arrivò quel maledetto giorno. E finì un'epoca. L'epoca di un uomo
che “.....con le contraddizioni tipiche delle personalità perfettamente
squilibrate.....”, aveva segnato indelebilmente la storia del
motociclismo italiano. Qualche tempo dopo ritornai in via Niccolini.
C'era un'aria strana. Si vedeva che stava andando tutto a rotoli.
Incontrai Federica, la sua fidanzata, e parlammo per diverso tempo. Ci
salutammo con un forte abbraccio. Dentro di me decisi che non sarei più
tornato lì. Ma ora il tempo è passato e, memore delle parole di Carlo:
“.....le belle storie devono finire quando è il momento....”, so che
tornerò nuovamente in Via Niccolini. Ricordandomi sempre di questo
grande uomo.
Asky (29-10-2010)
|
da CARLO "McGripp" AMIETTI (ex presidente del British Bikes Best di Milano)
Talamo, quando decise di importare le prime Triumph (erano quelle di
Les Harris per intenderci), venne in Via Gian Galeazzo (zona Porta
Ticinese in Milano) dove viveva Gino Ghezzi, vecchio e famoso
importatore delle BSA e Triumph in Italia, come dicevo...venne dal Gino
-una forma di grande rispetto- per chiedergli se poteva iniziare questa
avventura del ritorno in grande delle due ruote britanniche.
Non che avesse bisogno di un permesso ma la cosa che piaque fu questa
forma, lo ripeto, di rispetto per una brava persona che aveva vissuto e
allora viveva ancora intensamente nel ricordo di quel passato glorioso.
Il Gino gli diede la sua "benedizione" e tutto iniziò. Si, forse questa
cosa la conoscono in pochi.
Tullio Frosini (di Ruote a Raggi), meccanico nel garage del Ghezzi
ricevette sempre un trattamento di attenzione e rispetto (anche lui) da
parte di Carlo che ogni tanto capitava in Gian Galeazzo. Da Ghezzi
c'era la vecchia sede del club italiano dedicato alle BSA. Ai tempi di
Carlo il BSA Club aveva cambiato (e c'è ancora come una riserva
indiana...con pochi iscritti) il nome in British Bikes Best Milano
(modestamente ne sono stato presidente per almeno 5 anni ma anche Marco
Sciatica mi precedette in tale compito). Avevamo anche un giornalino
del club ma che si occupava di un pò tutto ciò che attineva al mondo
delle vecchie inglesi e Talamo era uno di noi, del BBB.
Organizzammo (e lo facciamo ancora oggi) diversi Meeting Internazionali
e a questi c'è sempre venuto Carlo con un gruppo di suoi clienti
affezionati. Un pò temeva che parlassimo male delle "nuove" Triumph in
rapporto delle più datate (sai come sono gli anziani...un pò per
nostalgia e un pò per sentirsi -forse- ancora al centro
dell'attenzione. Quando passano gli anni si crede di contare meno o
niente agli occhi delle giovani leve e allora...). Comunque i timori di
Talamo rimasero -ovviamente- sempre tali e non ci fu mai nessun
problema. Anzi, apprezzammo molto ciò che faceva per Triumph.
Talamo mi appoggiava quando gli facevo l'invito a partecipare ai nostri
raduni e, come scrivevo sopra, cercava sempre d'essere dei nostri.
Carlo McGripp (24/10/2010)
|
da MAURO BORELLA (responsabile vendite Numero Uno nella seconda metà degli anni '80)
Innanzitutto complimenti per il sito su Talamo, non ne ero a conoscenza
e mi è piaciuto molto per come è stato descritto Carlo, con pacatezza e
senza troppe esagerazioni. Molto onestamente non vedo molto da
aggiungere all'ottimo lavoro da te svolto. Ho molte foto con Carlo, mi
perdonerai se non mi sento di pubblicarle, fanno parte di un periodo
molto bello della mia vita, e preferirei tenerle riservate. Credo che
anche Carlo sarebbe d'accordo.
Entrai in Numero Uno per caso. Era la metà degli anni '80. Io avevo una
vecchia Harley WLA della guerra, e qualcuno mi disse che un tipo un pò
strano aveva aperto un negozietto Harley-Davidson nella chinatown
Milanese. Quando arrivai là, sentendo il rumore sferragliante della
vecchia WLA, balzò fuori questo buffo personaggio dagli occhialini
rotondi e con le "famose" scarpe Superga rigorosamente senza calze
(anche d'inverno!). Io allora lavoravo con mio padre, che aveva
un'azienda farmaceutica, ma non ci pensai neanche un minuto e dopo poco
tempo ero il Responsabile Vendite della Numero Uno Milano. Furono anni
meravigliosi, le vendite crescevano in maniera esponenziale e non
sapevamo più dove mettere le moto...avevamo affittato tutti i box in
zona per sistemarle!
Carlo era un genio, lavorava fino alla sera tardi, non mollava mai su
niente, era attento al minimo dettaglio come la lampadina bruciata in
negozio fino alle cose molto più importanti. Poi purtroppo alcune cose
cambiarono, i soci Brun e Crepaldi se ne andarono, e l'azienda Numero
Uno divenne molto grossa e impegnativa perdendo un pò di quel "sapore"
da epopea pionieristica che c'era stato all'inizio. Perciò, sempre
conservando ottimi rapporti di amicizia, passai alle 4 ruote, settore
dove lavoro tutt'ora (sono un Responsabile di un marchio del Gruppo BMW
Italia).
La domenica prima che Carlo morisse eravamo a un raduno di moto d'epoca
(nostra grande passione) a Pesaro, furono due giorni spensierati,
divertenti. Due giorni come mille altri passati insieme. Quando qualche
giorno dopo un amico comune mi disse "ma non sai cos'è successo
stamattina? E' morto Carlo!" non potevo crederci. E proprio su una
delle sue amate moto. Fu la fine di un'epoca, di un sogno. E di un
pezzo della mia vita che ricordo sempre con grande affetto e
commozione."
(19/10/2010)
|
da FREDI MARCARINI (fotografo professionista che ha collaborato con Carlo negli anni '90).
Caro Sandro,
ho scattato nel corso degli anni 90 davvero tantissime foto alle
triumph e alle harley, per un periodo di circa 7/8 anni. E alle
concessionarie numero uno e numero tre. E anche a Carlo ho fatto degli
splendidi ritratti. Non so se lui mi considerasse il suo fotografo
ufficiale, ma di fatto lo sono stato, ho viaggiato moltissimo per lui
in tutta italia in tutte le concessionarie.
Mi ricordo che, alla fine di un giro, arrivai ad Arese da lui con un
pacco di diapositive 6x6 ognuna montata in un passpartout nero formato
A5 per migliorarne la visione. La pila delle foto sulla sua scrivania
era alta più di 30 cm, e lui si incazzò: "E ora che cazzo ci devo fare
con tutta sta roba? E sono pure tutte belle! Mi toccherà farci un
libro! per colpa tua dovrò spendere un casino di soldi!" ovviamente
scherzava, era molto contento e mi chiamava di continuo, soprattutto
per fotografare prototipi o speciali modelli custom, sia Triumph che
Harley. All'inizio molta triumph, perchè gli era piaciuto come le avevo
fotografate per un servizio di moda su Class (rivista per cui lavoravo
all'epoca), per il quale la numero tre ce le aveva prestate. Appena
pubblicate, mi chiamò Livia Diegoli, e quello fu l'inizio di una lunga
e proficua (almeno per me) collaborazione. Ho fotografato molte moto,
la concessionaria, gli operai al lavoro, un sacco di foto. tutte posate
con belle luci, in set complicati da studio realizzati in location
grazie al mio "studio mobile".
Carlo aveva delle idee balzane, e bisognava obbedire... d'altro canto
pagava bene, e subito, e non si faceva pregare a dispensare commenti
positivi. Si fotografava di giorno, di notte, al freddo, al caldo, in
qualunque posto, chi se ne frega...
Ricordo un pomeriggio di primavera, ad Arese, lui andava e veniva da un
capannone dove aveva tutte le sue auto, me le portava e io le
fotografavo, poi lui ripartiva e tornava con un'altra... bentely,
porsche, cobra, lotus... ma anche una fiat 500, un pullmino wolkswagen,
una ford ranchero, aveva di tutto, tutto immatricolato, bollato e
assicurato!
Poi ricordo che una volta voleva che prendessi a tutti i costi un fat
boy che per motivi diversi gli era rimasto non ritirato da un cliente
che aveva perso la caparra, e quindi potevo portarlo via ad un prezzo
veramente speciale, oltretutto era la somma che mi doveva per l'ultima
fattura. Non la presi perchè non avevo un garage e il posto nella
rimessa sotto casa costava una fucilata (350.000 lire al mese a metà
anni 90) perchè era stabilito a priori (dal comune di Milano) a seconda
della cilindrata. Carlo, che non lo sapeva, si incazzò terribilmente
col comune, e ne fece un caso politico.
Una volta sola abbiamo avuto un'esperienza non bella. mi aveva dato
appuntamento alla Gialloquaranta, l'officina Bentley che era situata
dove ora c'è l'officina numero uno. A mezzanotte. Io arrivo e mi
preparo il set. Lui arriva in ritardo, alla una. Gli dico, mettiti li,
tira più su il mento, voltati di qua, lui si stufa subito e mi urla
dietro che non ha voglia di posare perchè è stanco. Io, umiliato,
taccio, ma smetto di fotografare e me ne vado senza una parola.
La mattina dopo alle 8 mi arriva un fax con una lettera di scuse da
parte sua che mi ha commosso per la sincerità delle sue parole. Mi
diceva, tra l'altro, che gli piacevo perchè ero uno dei pochissimi che
non gli aveva mai "baciato il culo". Quel fax, come tante altre cose,
si è scolorito nel tempo e non ce l'ho più. Avrei dovuto fotocopiarlo e
conservarlo, perchè era una bellissima dimostrazione di stima umana e
professionale, ma non ho pensato di farlo perchè non mi sono mai
piaciute le autocelebrazioni.
L'ultima volta che ho fotografato Carlo è stato poco prima che morisse,
nel "garagino" di via Niccolini, insieme all'architetto Dante Benini,
che lo aveva progettato. Siamo poi andati a mangiare assieme tutti e
tre, mi aveva raccontato della sua doccia con un anello di sequoia come
piatto, che voleva fotografare, poi mi disse: “Fredi, presto avrò di
nuovo bisogno di te, mi raccomando, dove ti trovo?" io gli risposi,
Lamberto ha il mio telefono, no problem. Non l'ho più visto. Quando è
morto ero ai caraibi a fare un libro sul rum.
fredi (19/01/2010)
|
da Motociclismo 2004
da SuperWheels 2002 - di Claudio Braglia
UN ORFEO, un Don Chisciotte, un narciso o semplicemente un grande
affabulatore? Un poeta - il poeta della moto - verrebbe da dire
leggendo le sue liriche, Carlo è stato un personaggio veramente atipico
nel mondo delle due ruote. E non solo perché amava guarnire le sue
pagine pubblicitarie per Harley e Triumph con testi, ora freddi e
razionali, ora poetici e subliminali, vergati di suo pugno, con uno
stile personalissimo, intenso ed efficace. In lui c'era più il cantore
che placò Cerbero o il bellicoso visionario idealista pieno di slanci?
La vanità di chi, respinta la ninfa Eco, s'invaghì di sé stesso ("In
realtà non mi piaccio per niente - usava schermirsi con consapevole
malizia - anzi mi detesto!"), oppure l'astorico stratega che aveva
individuato il meccanismo giusto per far soldi? Probabilmente un po' di
tutto questo e tanto altro ancora.
Chi lo conosceva bene sapeva che era molto esigente coi suoi
collaboratori e soprattutto con sé stesso. Non aveva ville, non aveva
yatch e, fino a quando ne era ancora il proprietario, dichiarava di re
investire praticamente tutto quel che guadagnava nelle sue aziende
sentendosi già abbastanza appagato dalla possibilità di disporre
finalmente di tutte quelle moto (e di quelle auto...) di cui, da
ragazzo, aveva sempre vagheggiato. Adorava i prodotti che rappresentava
e vendeva: ne era completamente soggiogato e lo si capiva facilmente.
Fin da quando, con un manipolo di soci rilevò dalla Cagiva, con
incommensurabile fiuto, la concessione per l'importazione dell'Harley
Davidson fondando la Numero Uno, aveva deciso di proporre solo prodotti
che lo emozionassero: così è stato successivamente per la Triumph (la
Numero Tre) e, in tempi più recenti, per l'avventura sicuramente non
meno difficile, della rappresentanza e distribuzione per 1'Italia delle
prestigiose Bentley e Rolls-Royce, attraverso la società (poi alienata)
“Gialloquaranta".
Fin da quando avevo quindici anni - mi ha detto una volta in vena di
confidenze - a mia madre dicevo: tu non li preoccupare,ma da grande
guiderò una Rolls Royce". Dopo i suoi primi successi amava viaggiare
alla guida di una inquietante Bentley color carbone dai vetri
nerissimi, ma soprattutto, coronando praticamente tutti i suoi sogni
dei vent'anni, si trovava finalmente a disposizione tutte le Harley
Davidson e le Triumph che desiderava. Avrà anche avuto la fortuna di
essere "l'uomo giusto al posto giusto nel momento giusto", come dicono
in molti. E di essersi saputo cucire addosso con grande abilità
un'originalissima immagine. Ma néssuno può dire che quella fortuna non
se la sia sudata e meritata tutta. La viscerale vocazione di Carlo
Talamo per i motori era sincera e profonda, tutt'altro che strumentale.
"Sai, Claudio mi disse una volta - l'altra sera dopo avere chiuso
l'ufficio e controllato che tutte le luci fossero spente, sono andato
in officina e mi sono preso una Tiger. Sono rientrato alle quattro del
mattino, dopo una sgroppata di 400 chilometri in montagna. Che forza,
che souplesse, che bella guidai. Ma anche che atmosfera e che profumi!
Mi sono divertito come un bambino...".
Carlo non c'è più. È morto in sella a una delle sue amatissime moto. Ma
noi faremo di tutto per non dimenticarlo: le pagine di SuperWHEELS
saranno sempre a disposizione di chi vorrà inviarci anche solo qualche
riga per continuare a far vivere il ricordo di quel ragazzo di mezza
età che calzava sdrucite scarpe da ginnastica, che aveva lo sguardo
talvolta insolente, ma anche un cuore e una passione senza uguali.
Claudio Braglia
|
Articolo di Alberto Pasi pubblicato su Motociclismo d'epoca nr. 12/2002
Un uomo sanguigno, schietto, a volte poco malleabile, un personaggio
del nostro mondo unico nel suo genere, capace di "inventarsi" un ruolo
distinto in un panorama spesso animato da figure più o meno
standardizzate. Poteva essere simpatico o antipatico, di sicuro era un
vero appassionato. Di motori, di moto, di auto. Con una competenza
storica e meccanica fuori dall'ordinario.
Con Carlo Talamo ci conoscevamo da più di 20 anni, prima ancora che si
lanciasse con l'anima del temerario nell'avventura di importare in
Italia le Harley Davidson. Non sempre ci siamo trovati sulla stessa
lunghezza d'onda, ma negli anni si era creata un'intesa, a volte
magica, spesso sorprendente perché bastava una semplice parola per dar
vita ad un progetto comune. Che nasceva e prendeva corpo nella maniera
migliore. Certo, con Carlo bisognava avere un giusto approccio. Chi non
lo aveva, poteva trovarsi davanti ad un muro, spesso impenetrabile.
Questo con i giornalisti, questo anche con i suoi clienti con i quali
si impegnava oltre misura alla ricerca di un rapporto unico. Non
pensava e non voleva vendere le moto come se fossero detersivi. Cercava
nel potenziale cliente, nella persona con cui parlava, magari per la
prima volta, la passione, l'amore per la moto che aveva davanti. Voleva
il rispetto di certe regole, non trattava sui quattrini, ma aveva
creato una "famiglia" disposta a seguirlo ovunque e in qualunque
avventura come nei celebri raduni "Palle quadre" affrontati in pieno
inverno.
Sempre in prima linea, pronto a esporsi, a non rifuggere dalle sue
responsabilità. A divertirsi. Non era uomo da ufficio. Amava viaggiare,
girava spesso per la città con la sua moto, capitava all'improvviso in
qualche concessionaria o da qualche meccanico, lo trovavi in un bar a
far due chiacchere, si spostava cercando di fiutare, di capire cosa
voleva la gente. I gusti, le tendenze. La sua storia ci racconta di
come sia riuscito a creare dal niente un impero, a dar vita al mito
delle moto americane in un periodo in cui nessuno pensava di acquistare
una grossa, lenta, costossisima Harley-Davidson.
Iniziò acquistando dai fratelli Castiglioni i diritti all'importazione
e il magazzino ricambi, poi mise in piedi le sue officine, i suoi punti
vendita, pochi e selezionati. Con l'arte del gran comunicatore - chi
non ricorda le sue straordinarie pubblicità? - Carlo Talamo fece il
gran salto e la Numero Uno, la sua società, divenne in breve una realtà
del nostro mercato consacrando Talamo nel ruolo di imprenditore. Poi
rinacque la Triumph, un'altra eccitante sfida, un'altra occasione da
non perdere visto il suo amore per le moto inglesi. Da iniziare a
piccoli passi, con lenta ma inarrestabile progressione. Ancora un
successo. Come aveva fatto con la H-D, anche con la Casa di Hinckley
aveva allacciato un rapporto strettissimo e personale. La sua passione
per inventare le moto, per modificarle secondo il suo gusto spesso
apriva gli orizzonti delle aziende con cui aveva a che fare. La Night
Train fu una sua invenzione, così come la Baby Speed, tanto per citare
due esempi.
Poi, col tempo, con le mutate circostanze, il ruolo di importatore
doveva andargli sempre più stretto. Prima ha ceduto
all'Harley-Davidson, poi dallo scorso settembre aveva rinunciato anche
alla Numero Tre, la società che cura le importazioni della Triumph.
Un'altra sfida lo attendeva con la passione e l'entusiasmo di sempre.
Aveva intenzione di dar vita ad un centro di design per dar sfogo alla
sua straordinaria creatività. In tasca un contratto con la Triumph, ma
pensava anche ad altre Case e stava lavorando ad una futura Laverda.
Come sempre non aveva peli sulla lingua. Se la Sprint RS non gli
piaceva del tutto lo diceva apertamente e proponeva la sua soluzione
che, quasi sempre, non poteva che far riflettere. Aveva tanti progetti
in testa: la Tiger Sport, una Speed Triple ancora più aggressiva e
chissà cos'altro. La notizia della sua scomparsa, avvenuta il 29
ottobre per un incidente in moto vicino a Viareggio, ha interrotto
quest'ultimo sogno e ci ha portato via un amico, un vero motociclista.
|
Lettera per Carlo Talamo di Ivano Beggio
E' difficile non cadere nella retorica parlando di un personaggio come
Carlo Talamo, ma sarebbe un errore che lui non perdonerebbe. Nel mondo
della moto esistono altre persone singolari, tuttavia Carlo è riuscito
a riassumere in se caratteristiche che possono sembrare inconciliabili:
genialità e concretezza, inventiva e determinazione, capacità di
sognare e sensibilità di mercato. Insomma aveva fiuto per ciò che
poteva piacere a chi ama la moto.
Non era un uomo facile, tutt'altro, mai ipocrita e nemmeno accomodante,
sempre pronto alla polemica ma anche a riconoscere i propri errori con
lealtà. Non era dunque semplice andare d'accordo con lui, ma se si
entrava in sintonia allora si apprezzava il valore della sua amicizia.
Amava definirsi un imprenditore poeta e tutti ricordano i sonetti che
scriveva personalmente nelle sue campagne di comunicazione, dove spesso
si esponeva con un pizzico di narcisismo; ma non era mai fine a se
stesso, serviva invece a distinguersi dal rumore di fondo e la sua
originalità era un modo autentico per non cadere nella banalità e nel
già visto. Narra la leggenda che prima di occuparsi a tempo pieno di
moto fosse un buon copy-writer nel mondo della comunicazione.
Nato a Roma, ma esploso a Milano, è riuscito a cambiare il volto di un
intera via, la sua via Nicolini dove oggi risplendono le vetrine con
gli oggetti del desiderio per migliaia di appassionati, e dove ogni
sabato in tanti si trovano per parlare di moto e di tutti i miti che si
creano attorno. Non era raro vederlo osservare le reazioni di chi si
fermava di fronte ai negozi e questo spiega come riuscisse a cucire
quasi su misura ogni moto che vendeva ai propri clienti. Trovava sempre
il modo di migliorare e personalizzare il prodotto di serie. La
passione per il proprio lavoro è stata la premessa che gli ha
consentito il successo in quasi tutte le sue iniziative imprenditoriali.
|
da SuperWheels 2002
da www.topmoto.it/artiglio/27-02-2001/incontro.asp
Sabato mattina ho conosciuto un motociclista.
Ho conosciuto un malato di Harley, uno che con l'Harley ci vive da
trent'anni. Ha detto proprio così in effetti: "Io con l'Harley ci ho
vissuto trent'anni". Come se fosse una donna, un cane, una famiglia.
Carlo Talamo è così, pieno di piccoli spunti di riflessione, pieno di
modi di dire e di fare che rivelano un uomo veramente unico e a parer
mio mitico. Sabato mattina una delegazione di Topmoto è andata a
conoscere Carlo Talamo e si è trovata davanti un motociclista. Un po'
ci speravo, un po' sapevo dalle poche righe lette sul soggetto che non
mi sarei trovato di fronte ad un manager in carriera, ad uno yuppie
impomatato e nemmeno ad un tipo tatuato. Ma non speravo che il
supereroe, così lo chiamavo nelle mail che ci siamo scambiati, fosse
così semplice, così poco protagonista e così appassionato.
Lo abbiamo incontrato in Via Niccolini, a Milano, spina dorsale di un
paio di isolati dove tutto è Numerotre o Numerouno, piccolo villaggio
immerso nella metropoli che sabato si anima di moto particolari, di
rumori splendidi e di odori dimenticati. Il sabato Talamo è quasi
sempre qui, che parlotta con i tanti appassionati che arrivano per
comprare il pezzetto nuovo, per fare un giretto tra amici o anche solo
per incontrarlo. Ci ha fatto fare un giro nel suo negozio, ci ha
mostrato le officine, il suo splendido garage personale e poi ci siamo
fatti un cappuccio. Non ha mai smesso di parlare con noi, lui e
Artiglio era come se si conoscessero da una vita, io, Kempest e Ponch
eravamo come i ragazzi di bottega che ascoltano ammirati quello che i
due maestri rivelano della propria esperienza che col tempo diventa
saggezza.
Talamo con l'Harley ci ha vissuto trent'anni…il senso della frase lo
capisci se hai la fortuna di vedere il suo garage: oltre a qualche
macchina splendida e alle moto che usa tutti i giorni c'è una
stanzetta, la sua stanzetta. Parquet per terra, alcune moto per così
dire normali ed altre molto più rare ed originali (anche la
post-atomica Triumph realizzata da lui e comparsa anni fa sulle
migliori riviste). Niente di incredibile, tutto più o meno come lo
immaginavo, tranne una cosa, il segno dell'uomo, del carattere e del
modo di vivere la sua passione. Ad un angolo della stanza-museo un
tappeto di pelle di mucca (pazza???) e sopra di esso una poltrona.
Nient'altro, non uno stereo, non un telefono, una Tv, solo una poltrona
rivolta verso le moto. Quanti discorsi deve aver fatto Carlo Talamo con
chi vive con lui da trent'anni…
Grazie di tutto supereroe, a volte un'ora di parole alla rinfusa, senza
un traguardo e senza una tesi da dimostrare può essere più educativa di
anni di riviste e libri sulle due ruote.
|
da www.galluracustom.com
Tempo fa, avendo appena acquistato la mia prima Harley nel 1994,
leggevo le pubblicità della allora HD Italia, la“numero uno” gestita da
un uomo di nome Carlo Talamo. Erano pubblicità diverse dalle solite,
particolari, determinate ed efficaci, con delle poesie che dimostravano
il vero Amore per le motociclette. Sentivo, che chi le ideava,
probabilmente riusciva a comprendere il mio stato emozionale e totale
dedizione alla motocicletta.
Fu allora che mi decisi di scrivergli una “poesia”. Non potete
immaginare la mia gioia ed entusiasmo nel leggere la sua risposta. Ora
Carlo Talamo non c’è più, ma io me lo immagino sempre in sella tra le
nuvole mentre vende le sue amate Harley Davidson agli Angioletti del
suo quartiere.
|
Da http://www.webchapter.it/forum/showthread.php?t=25979&highlight=talamo&page=8
Io l'ho conosciuto al Salone del Ciclo e Motociclo di Milano una
miliardata di anni fa, forse erano i tardi anni '80, allora guidavo una
Honda 450 malamente chopperizzata rendendo rigido il telaio con delle
sbarre di ferro. Probabilmente di Harley-Davidson non mi sarei potuto
permettere nemmeno i jeans, ma anche i miei quaderni di studente erano
pieni di disegni di improbabili chopper con motore H-D.
A quel Salone Carlo Talamo osò, per la prima volta, esporre le moto su
una altissima pedana invece che in mezzo alla calca come facevano tutti
gli altri. Lo stand era sopraelevato, con un unico ingresso chiuso da
una catena. Ricordo che quella scelta fu aspramente criticata sulle
riviste di settore e dal pubblico, perchè ovviamente non ci si poteva
sedere sulle moto nè fare incetta di cataloghi come altrove. Io con il
mio "chiodo" di pelle, i jeans sdruciti e gli stivali non sembravo di
sicuro un danaroso acquirente, ma quando mi sono avvicinato alla
scaletta chiedendo di entrare a vedere le moto da vicino Carlo mi
squadrò severamente da testa a piedi, mi sorrise e disse al buttafuori:
"fai entrare questo ragazzo".
Sarò stato in quello stand per un'ora, a studiare tranquillamente tutti
i dettagli di quelle moto che avevo visto solo sui giornali (ho ancora
il numero di Motociclismo di Luglio 1987 sul quale Ungaro provava
Softail EVO e 883, ora entrambe nel mio garage...) o guidate da qualche
tedescone in giro per le Dolomiti. E Carlo Talamo trovò il tempo di
scambiare 4 chiacchere con me, e mi sorpresi di trovare in quell'uomo
tanta passione per le sue moto e il suo lavoro. Solo dopo molti anni ho
potuto acquistare un Softail, ma senza dubbio Carlo Talamo mi ha
influenzato nella scelta del mio percorso motociclistico.
MagNETo
|
Da http://www.webchapter.it/forum/showthread.php?t=25979&highlight=talamo&page=8
Di Talamo ho due ricordi personali: da ragazzino, a piazza Euclide
(roma) dove lo chiamavano "pedalino" perchè, non li portava mai neppure
in inverno, e al kings, dell'argentario, dove stava fisso l'estate in
mezzo a un branco di pazzi. Ricordi. Guidava motorini iperscassati ma
non si tirava mai indietro per un giro; anche allora era diverso: o
almeno io non riuscivo a capire cosa avesse in testa magari già
progettava qualcosa. Su quanto ha creato dopo s'è fatta moltissima
mitologia, a cominciare dal fatto che abbia iniziato come ragazzo di
bottega nell'agenzia di pubblicità milanese da dove ha preso gli spunti
per diventare il grandissimo imprenditore che è stato. ma anche se
anche si tratta di mitologia a me piace crederci.
motard
|
|