CARLO TALAMO racconta la
giornata a Vallelunga con gli ex-piloti del team Koelliker (da Legend
Bike - dicembre 1992)
Quando
decisi di importare le Triumph fu per la passione che avevo (ed ho) per
questo marchio. La passione è, in me, assai più forte della ragione. Ho
cercato di dirmi che con la Numero Uno e la Harley le cose andavano
così bene che era stupido ricominciare tutto da capo. Ho cercato di
dirmi che il mercato era in crisi. Ho cercato di raccontarmi tutte le
cose intelligenti di questo mondo ed alla fine eccomi qui. Con una
bella medaglia di importatore sul petto e un sacco di lavoro da fare.
Quando mi sono trovato
le prime Tre Cilindri ’92 tra le mani ho subito smontato gli scarichi
di serie per sentire se il suono del 3 a 120 gradi fosse lo stesso del
mio vecchio 3. Beh, miracolo, in rilascio gorgoglia uguale, al minimo
gira scorbutico uguale, poi ratta un po’ e allunga fortemente con un
suono che sembra un organo, che è lo stesso che ha vissuto con me per
sessanta, settantamila chilometri. Oddioddio. Certi suoni sono come
certi profumi o certe canzoni: quando li senti ti trasportano indietro
a qualche ricordo che ti emoziona. Il suono del Trident mi ha riportato
ai primi anni ’70 quando sui bordi di Vallelunga sbavavo attorno alle
prime 500 chilometri per moto di serie. In verità avevo una Laverda
allora, e le volevo bene.
Ma quando sentivo il
suono cupo e accordato, mai sgraziato, delle tre cilindri io entravo in
estasi. La Laverda costava un milione. La Trident un
milionequattrocentosettantamila. La paga che mi passava quella
pidocchia di mia madre sfiorava le diecimila mensili. Come dire un
formicone che vuole scopare un’elefantessa. Continuai a sognare e a
sbavare fino al giugno del ’73 quando finalmente, non ricordo se per
una eredità o una rapina, riuscii a comprare un Trident 750 cinque
marce che del resto è ancora con me. Sbavavo in quegli anni sulle
Trident ed invidiavo aspramente i loro piloti. Walter Villa, Vanni
Blegi, Luciano Rivabene che guidava in realtà una splendida BSA tre
cilindri color oro, Antonio Rovelli, Giampiero Zubiani, Gianfranco
Bonera, Guido Bernasconi, Renato Galtrucco e più di tutti Giovanni
Provenzano, reo ai miei occhi di essere ricco, biondo, pieno di
ragazze, diciottennt, padrone di una Trident rossa e pure, mannaggia,
vincitore a Monza. Velocissimo. Tutti questi piloti facevano parte di
quel team koelliker che si permise di spadroneggiare un po’ dappertutto
scodellando delle Trident che, lontane millemiglia dal regolamento
delle moto di serie, furono addirittura più veloci delle Trident made
in Inghilterra.
Molti piloti privati
ebbero a che fare con Trident più o meno efficaci: uno, Giulio Scarani,
fu mio caro amico di quegli anni di motociclismo allo stato puro.
Sono passati quasi
vent’anni da allora…
Ma il suono della mia
nuovissima Trident mi ha fatto venire in mente di rintracciare tutti
quei ragazzi che furono miei idoli e rimetterli tutti assieme per una
bella giornata di motocicletta.
Ecco tutto: ho preso
il telefono e con un po’ di timidezza ho cercato di spiegare a persone
che in molti casi non sapevano nemmeno chi io fossi, che avrei voluto
resuscitare, per un giorno, un pezzettino di quell’emozione. Un po’ di
quel suono e quelle facce che certamente il tempo avrà segnato. Solo ad
uno non ho potuto telefonare: quel Renato Galtrucco che morì a Monza
nell’estate del ’73 in una tragica giornata nella quale morirono in tre.
Gli altri li ho
stanati tutti. E con tutti ho parlato: simpatici, antipatici,
entusiasti, scettici, freddi, estremamente accoglienti, sospettosi,
compagnoni. Ognuno con un diverso carattere e reazioni.
Ad ognuno mi sono
appassionato. E ho pensato che nella giornata di Vallelunga le moto non
avrebbero contato poi molto. Le persone avrebbero inciso i miei
ricordi. Ho pensato che avrei voluto chiedere ad un giornalista di
intervistare questi uomini per raccontare vent’anni del loro tempo.
Venti anni di vite differenti, successi ed insuccessi. Non l’ho saputo
fare. Forse le belle cose vanno organizzate da qualcuno più capace di
me, o forse le belle cose non interessano più a nessuno.
Io e il telefono. Io
che cerco i numeri. Io che parlo: Zubiani mi dice di no subito. Mi dice
del molto lavoro che ha da fare. Mi saluta. Non è gentile. Nemmeno
interessato. Non l’ho più sentito.
Gianfranco Bonera mi
dice che verrà. Non è venuto. Non l’ho più sentito. Walter non lo
conosco, affido il compito di contattarlo ad un comune amico il quale
mi conferma la partecipazione. Walter non viene. Mi telefona in seguito
per ringraziarmi. Peccato. Vanni Blegi dice di sì prima che io finisca
di parlare, del resto me lo aspettavo, Vanni ha un entusiasmo neppure
sfiorato dal tempo. Vanni è un uomo grande adesso ma traffica con le
moto e le macchine da corsa ad ogni domenica. Luciano Rivabene,
nonostante i suoi ultracinquantanni dice di sì dopo un microsecondo di
riflessione. Mi sembra di sentire un po’ di commozione. Ma forse è una
mia impressione. Luciano è un uomo sereno e rasserenante nonostante in
alcuni casi la vita non gli sia stata amica.
Antonio Rovelli, dice di sì
nonostante tra appuntamenti al sabato ed uno importantissimo alla
domenica pomeriggio. Avrei giurato che non sarebbe mai arrivato:
sfrecciando a fare Milano, Cagliari, Vallelunga, Milano superando ogni
record. E stabilendosi d’autorità nel mio cuore tra le persona
affidabili e credibili. Antonio ha anche sfoggiato una memoria lucida
fin nei particolari nel ricordo degli anni delle gare di moto di serie.
Guido Bernasconi è
molto simpatico ma dice chiaramente di no. Poi pena e dice va bene. Poi
dice:” però vaso piano, sono vent’anni che non tocco una moto”. La
domenica a Vallelunga girava tranquillo e veloce come nel salotto di
casa sua. Giulio Scarani dice di no. Poi richiama e dice “Te prego c’ho
ripensato dimme di sì”. Poi si è divertito come un pupo al primo giorno
d’asilo.
Giovanni Provenzano
sembra distaccato. Mi dice che in questi anni ha ricevuto varie
proposta come la mia. Ha sempre detto di no. Non insisto, però parlo di
motociclette. Di Triumph. Di come mi ricordo le gare di allora. Della
sua Triumph tutta, tutta rossa, col tre in uno bianco.
Non so cosa succede.
Il distacco muore. Giovanni dice di sì. Cosa sia successo non lo so.
Mi piace pensare di
essere riuscito a comunicargli l’emozione che ho provato a rincontrare
quel ragazzino che andava così forte e che, quasi quarantenne, mi ha
sorpreso per la rara dote di sapere coniugare una straordinaria
fermezza di carattere, con una intelligenza sensata e quasi disarmante
e una delicatezza sconosciuta ad un uomo.
Giovanni a Vallelunga
ha girato fortissimo. Come se in vent’anni di lontananza dalle piste e
gli oltre dieci anni di lontananza dalle motociclette fossero soltanto
un’illusione. A vederlo da fuori sembrava passeggiasse. Ma era così
anche negli anni ’70. Sembrava fermo. Però vinceva. E’ la dote dei
campioni. Forse Giovanni tornerà a correre nelle storiche con una
Trident. Io spero che succeda.
La domenica di
Vallelunga è stata emozionante e struggente. Non l’ho fatto per vendere
la mia mercanzia. L’ho fatto per fare bene al mio cuore. E quel che ho
ricevuto vale più di ogni classifica di vendita.
Carlo
Talamo
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