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Anche nel rispetto della
classicità, il lavoro sull’assetto di guida
è stato notevole, tanto che
stando distesi sul serbatoio alle alte velocità è
percepibile il lieve
vantaggio aerodinamico (ed il seppur minimo riparo) fornito dai due
strumenti posti sulla piastra della forcella. I nostri padri, del
resto, fendevano l’aria senza il benché minimo
ausilio di carenature e
allora perché non accontentarsi di due begli Smiths.
Oltretutto non
saranno precisissimi, ma quanto ad estetica non hanno nulla da
invidiare alle “radiosveglie” di certi
transatlantici a due ruote…Per
la cronaca, dopo tutti i lavori fatti il Trident prende circa ottomila
giri nelle marce alte, per una velocità massima
di…tanti, tanti punti
in meno sulla patente. |
Per spiegare il
tracollo dell’industria motociclistica britannica sono stati
scritti centinaia di articoli e persino un paio di libri,
questi ultimi talmente minuziosi nella ricerca delle possibili
cause da risultare un tantino tediosi. Penso di averli letti tutti ma,
forse perché sono duro di comprendonio, ancora non credo che
a causare il declino di Norton, Bsa, Triumph & C. siano stati
solamente i grossolani errori di marketing, peraltro commessi dal
management del gruppo NTV sottovalutando la concorrenza nipponica. Se
si esclude la proverbiale tenuta di strada, i prodotti
inglesi erano effettivamente inferiori rispetto ai giapponesi in
termini di qualità costruttiva e
affidabilità. Come però insegnano i successi di
un noto marchio americano, l’obsolescenza progettuale e
l’handling discutibile non comportano necessariamente il
crollo di una casa motociclistica. Se per contro a decretare il
successo di un marchio bastasse una affidabilità granitica,
ora non staremmo versando lacrime sulle ceneri della Laverda e nemmeno
accendendo ceri sulle perigliose sorti della Guzzi.
Personalmente ho iniziato a farmi un’idea sulle altre cause
della debacle commerciale delle Case inglesi proprio lavorando sulla
Triumph dell’amico Ezio. Arrovellandomi sulle magagne che la
poverina manifestava con proterva regolarità, finalmente una
notte ho capito che la colpa non era solo del Trident, e che lo stesso
valeva per molte altre moto inglesi, spesso afflitte da inconvenienti
più o meno gravi. Parte della colpa era anche dei vari
meccanici cui era stata affidata, incluso il sottoscritto. Viziati
dalla perfezione di meccaniche più evolute, avevamo
evidentemente dimenticato la placida determinazione che consentiva ai
nostri colleghi di trenta o quarant’anni fa di non
scoraggiarsi di fronte a un guasto, in realtà banale ma
tanto distante dalle moderne logiche di funzionamento da sembrarci
inspiegabile, irritante e, di conseguenza, irrisolvibile.
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Doverosa la vista dal
ponte
di comando. L’angolazione radicale del “due
pezzi” Tommaselli ha
richiesto la realizzazione di due fermi di fine corsa di squisita
fattura, posti sulla piastra inferiore della forcella, a salvaguardia
delle dita del pilota che finivano regolarmente stritolate tra il
manubrio ed il serbatoio.
Made in Breno anche la leva
del freno: improntata ad una francescana funzionalità, viene
ricavata
dall’ originale Triumph in tubo, drasticamente alleggerita e
dotata di
un delizioso pedale in alluminio godronato, regolabile su due
posizioni. Anche il fermo registrabile del fine corsa viene ricavato
dal peno e pesa pochi grammi incluso il registro.
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L’affinamento
della ciclistica, oltre a
consentire uno sfruttamento ottimale del motore potenziato, ha
permesso di evitare il ricorso al frenasterzo, il cui pomello ha ora
solamente una funzione decorativa, mentre prima veniva spesso
utilizzato nel tentativo di limitare le oscillazioni dello sterzo alle
alte velocità… per quelli che pensavano che il
chattering fosse
un’invenzione di Biaggi. |
Smontando e rimontando il tricilindrico di Coventry, mi è
difatti tornato in mente quando un altro restauratore, già
allora ricco di anni e d’esperienza, mi ripeteva che questi
motori richiedono un approccio diverso. Gli assemblaggi, i materiali e
le stesse componenti – ammoniva - viste con
l’occhio del meccanico di oggi, è difficile
credere che possano funzionare, eppure funzionano eccome. E aggiungeva,
incurante del mio scetticismo calvinista - a volte un particolare
presenta una caratteristica che giudicata secondo i canoni
della tecnica attuale dovrebbe addirittura impedire al motore di
avviarsi. Il “difetto”, che spesso risiede in un
accoppiamento apparentemente poco corretto dal punto di vista
meccanico, si “abbina” a quelli delle parti
collegate, permettendo al complesso una discreta
funzionalità. Assemblando invece il tutto con criteri e
tolleranze moderne, tu credi di migliorare ed ottieni per contro il
risultato opposto. Giova a questo punto l’esempio fatto da un
celebre progettista aeronautico, che amava sottolineare come la forma
del calabrone risulti assolutamente inadatta al volo. Essendo
però all’oscuro della suddetta limitazione, il
simpatico insetto vola perfettamente da milioni di anni!. Con
questo non mi azzardo a confutare i pilastri su cui si regge la
meccanica moderna. Mi limito solamente a considerare come,
per ottenere buoni risultati con motori e ciclistiche
“datate” come quella del Trident, sia necessario
anche comprenderne la filosofia. Afferrare il segreto di un propulsore
consiste nel comprendere fino a che punto vanno pedissequamente
applicate le nozioni apprese sui manuali e quando, invece, bisogna
affidarsi all’istinto ed alla sensibilità. Tanto
per fare un esempio, revisionare un Trident con tolleranze degne di una
racer giapponese, trascurando le dilatazioni cui queste rustiche
unità vanno soggetti e grazie alla tendenza a produrre
vagonate di calore, causa dei problemi tranquillamente evitabili con un
accoppiamento meno stretto tra cilindri e pistoni.
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In una moto sportiva sono i
dettagli a fare la differenza: per evitare un rinvio che sarebbe andato
a discapito della precisione è bastato rovesciare la leva
del cambio.
La leggerissima pedana da corsa, ricavata dal pieno in ergal,
è stata
dotata di uno snodo per non interferire con il pedale
dell’avviamento. |
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Avantreno controcorrente,
visto che per attenersi ad una preparazione d’epoca al
poderoso Fontana
da 250 millimetri non è stata abbinata la consueta
“replica” della
Ceriani. Revisione e la messa a punto della forcella originale
effettuate dagli specialisti della Classic Farm di Breno (BS) hanno
reso comunque irreprensibile la tenuta di strada, con un minimo
sacrificio in termini di comfort. Più impegnativo
è risultato il lavoro
sulla replica del grosso freno a doppia camma, che ha richiesto un
paziente lavoro di tornitura per ottenere un adeguato accoppiamento
delle ganasce con la pista frenante. I “ragazzi”
bresciani (in due
hanno quasi un secolo…) contattabili al 338/83.66.255, sono
specializzati in modifiche e messe a punto di moto
d’epoca…oltrechè in
“smanettate” e raduni a sfondo motociclistico ed
eno-gastronomico…visto
che la loro valle offre grandi opportunità in entrambi i
sensi. |
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Notevole la luce a terra,
grazie anche alle pedane poste in posizione rialzata, a tutto vantaggio
delle possibilità di piega. Negli anni settanta,
pneumatici come i
mitici Dunlop K81 facevano la differenza in curva. Oggi, a chi
è
abituato al grip delle gomme moderne, l’approccio
può risultare un
filino ostico. In realtà è possibile osare ben
più di quanto faccia
supporre il profilo abbastanza squadrato per i canoni moderni, tanto
che chi scrive ci ha vinto recentemente una gara in salita. Da notare
come, nonostante la pioggia torrenziale, nella stessa gara questa
Trident, guidata dal suo fortunato proprietario, abbia colto un
sorprendente quanto meritato quarto posto. La piastra di
supporto modificata per ospitare le pedane da corsa è una
Norman Hyde:
il montaggio elastico risulta particolarmente efficace
nell’attenuare
le vibrazioni. |
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I
carburatori sono gli Amal Concentric da 30 mm. sostituiti agli
originali da 27 e muniti di cornetti in alluminio ricavati al
tornio.
A conferma dell’indole sportiva del propulsore, il radiatore
dell’olio
è di serie. Grazie anche all’impiego
dell’olio Syneco RS 113, la
temperatura del lubrificante non raggiunge i livelli di guardia neppure
durante le peggiori ” tirate”. |
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Anche al retrotreno
troviamo
un Fontana “replica” a doppia camma, ma da 230 mm.
In questo caso la
messa a punto è stata finalizzata a trovare la
modulabilità necessaria
a scongiurare pericolosi bloccaggi. Oltre alla minacciosa
“bocca” del
tre in uno verniciato in nero opaco, si nota la presenza di un genuino
cerchio in alluminio a bordo alto. Con ciclistiche
“classiche”, previa
adeguata regolazione dei raggi, la ruota tradizionale Borrani record o
Akront che sia, si rivela non meno performante della monolitica in
lega, la cui superiore rigidità, invece, meglio si abbina
alle
sospensioni evolute delle moderne maximoto.
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In questo caso, la capacità del meccanico-restauratore
consiste nel riuscire a capire quando val la pena di accanirsi per
migliorare le condizioni di funzionamento di un componente e quando
è invece preferibile accontentarsi del miglior compromesso
possibile, per non alterare l’equilibrio tra le parti.
Ricorrendo sempre all’esperienza accumulata sul Trident, un
esempio di questo problema si verifica quando potenziando
l’impianto frenante si finisce per mettere in crisi la
forcella, caratterizzata oltre che da un’ idraulica piuttosto
rudimentale dal ridotto diametro degli steli. A questo punto si
potrebbe adottare uno dei vari kit di upgrading dei pompanti,
facilmente reperibile sul mercato inglese. Una soluzione ancora
più radicale sarebbe montare una forcella più
performante, per poi accorgersi, anche in questo caso, che la sua
maggior efficienza, per essere sfruttata appieno richiederebbe un
incremento dell’impronta a terra del pneumatico, con un
discreto sacrificio in termini di maneggevolezza, accettabile
nell’ impiego sportivo o agonistico, ma eccessivamente
oneroso nell’uso stradale, cui la moto ritratta in queste
pagine viene adibita. Questo dimostra come, pur partendo da
presupposti del tutto fondati, cercando di migliorare il comportamento
dinamico di una moto d’epoca, basti poco per alterarne il
delicato equilibrio. Per un impiego stradale anche veloce, invece, una
accurata revisione della forcella originale, con lappatura degli steli
e dell’interno dei foderi, abbinato
all’’impiego di un olio specifico per sospensioni
di motoclassiche ed una buona messa a punto, garantiscono un risultato
ottimale ad un costo ragionevole.
Rispolverando
un termine divenuto ormai desueto nell’era CAD-CAM, sulle
vecchie moto, possono essere ottenuti dei risultati degni di nota dal
punto di vista prestazionale - inteso anche in termini
di handling e sfruttabilità del mezzo da parte di
un pilota medio - anche limitandosi ad un certosino lavoro di
aggiustaggio delle parti.
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Come avveniva sulle special
degli anni sessanta, la sella è stata abbassata rendendo il
codino più
pronunciato. Il profilo incavato, oltre a trattenere meglio
nella
guida sportiva, contribuisce ad abbassare il baricentro, il cui
posizionamento rende il Trident originale meno a suo agio nel misto
stretto rispetto al più agile Bonneville. I due
“tronchetti” del
manubrio in due pezzi, abbinati alle piastre portapedane arretrate di
Norman Hyde e ai pedali freno e cambio modificati artigianalmente,
rendono la posizione di guida funzionale anche per le persone di alta
statura.
La conformazione
dello scarico è stata modificata più volte alla
ricerca del rendimento ottimale. Ora è completamente libero:
il rantolo
baritonale emesso ai bassi si tramuta agli alti regimi in un urlo
rabbioso, invero sgradito ai tutori dell’ 0rdine, ma favoloso
quando si
percorrono certe strade poco frequentate della Val Camonica.
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Tornando
all’ argomento iniziale, un’altra delle cause
“ambientali” che hanno determinato il declino
dell’industria motociclistica d’oltremanica,
risiede a mio avviso nella nascita di un nuovo tipo di motociclista,
che il mio amico Marco suole apostrofare col pittoresco termine di
“fighetta”. Attratto dal baluginio delle cromature
più che dalla lucentezza dell’alluminio,
ottenibile solo previa faticosa lucidatura, questo nuovo esemplare
della fauna a due ruote fa la sua apparizione sul finire degli ani
settanta. Rispetto ai “prImitivi” a bordo
di vibranti mono o bicilindriche, si distingue per il fatto di non
volersi cimentare con la manutenzione della propria cavalcatura, della
quale conosce a malapena il ciclo di funzionamento, a due o a quattro
tempi, ma non manca di ostentare il frazionamento e la
velocità massima, curiosamente coincidente o addirittura
superiore a quella, già ottimistica, dichiarata dal
costruttore. A differenza dell’appassionato che ama dedicarsi
personalmente alla manutenzione della propria amata, questo tipo di
motociclista la vorrebbe invece immune da regolazioni, affidabile come
uno scooter o – sic - una automobile. La
guida sincera ma impegnativa, l’impianto elettrico bizzoso e
la frequenza delle messe a punto caratteristiche delle moto inglesi,
non di rado bisognose di interventi “on the road”,
risultano ovviamente inaccettabili per questo tipo di utente e
decretano il successo delle concorrenti giapponesi che, fatte le debite
eccezioni, continuerà più o meno incontrastato
per quasi mezzo secolo.
Dopo
un orgia a base di valvole, alberi a camme in testa e centraline ad
anticipo variabile, da alcuni anni, tuttavia, uno dei periodici
fenomeni di riflusso ha riportato in auge le moto dalla meccanica
tradizionale - non necessariamente obsoleta - che però
proprio per questa loro caratteristica sono in grado di suscitare
emozioni anche senza raggiungere regimi di rotazione e
velocità aeronautiche.Parecchi
motociclisti sono quindi tornati ad apprezzare la generosa
“schiena” dei motori ad elevata cilindrata
unitaria, abbinati a un design essenziale e a componenti
metalliche, in alternativa alla banale termoplastica e ai materiali
compositi, tanto diffusi da risultare quasi banali, specie su
certe”naked” che, per svariati motivi, non hanno
certamente nelle prestazioni assolute il proprio punto di
forza.
Il
traffico sempre più nevrotico e l’introduzione
della patente a punti hanno reso anacronistico l’impiego
stradale di bolidi da centosessanta cavalli, portando parecchi
motociclisti a riscoprire il piacere di una guida che – senza
risultare necessariamente lenta- consente anche di accorgersi
dell’ambiente circostante.
A
questo punto, di motivi per usare in tutte le occasioni che lo
consentono una moto d’epoca, italiana, inglese o di qualunque
altra nazionalità, pensiamo di avervene forniti a
sufficienza. Nelle didascalie allegate alle foto di questo servizio, se
non vi lascerete distrarre dalle grazie virginali della modella,
troverete l’ ispirazione per rendere la vostra cavalcatura
più sportiva e divertente o, se preferite, personalizzata in
base ai canoni dell’ epoca. Si tratta in ogni caso di
modifiche pertinenti, ispirate a quelle in auge nelle competizioni per
drrivate di setrie degli anni settanta e che non stravolgono quindi lo
spirito della moto. In caso di pentimento, inoltre, risulta anche
abbastanza agevole riportare la moto alla condizione originale.
Per
ulteriori
informazioni sul preparatore di questa special, visita il sito:
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